2015-12-19 13:49:00

Siria. Risoluzione Onu per la pace: entro 18 mesi la svolta politica


“Appoggiamo questo tentativo e speriamo possa essere un successo. In Siria la strada non poteva essere solo quella delle armi”. Così il Segretario di Stato vaticano cardinale Pietro Parolin saluta la firma della risoluzione Onu arrivata in nottata per l’avvio dei colloqui di pace a partire da gennaio 2016, tra il governo di Damasco e le opposizioni. Il testo prevede entro 6 mesi la formazione di un governo di transizione inclusivo che voti una nuova Costituzione quindi entro 18 mesi, lo svolgimento di elezioni sotto egida Onu. Uniti nella decisione per la prima volta Stati Uniti e Russia, anche se tanti nodi restano da sciogliere. Qual'è dunque il valore di questo passo politico e quali gli esiti possibili? Gabriella Ceraso lo ha chiesto a Massimiliano Trentin ricercatore al dipartimento di Scienze politiche e sociali all’Università di Bologna:

R. – Sicuramente è un passo positivo, perché queste risoluzioni rappresentano delle pietre miliari che una volta messe in campo difficilmente è possibile allontanarsi dalle condizioni poste.

D. – Quindi il minimo comune denominatore dell'accordo è un dialogo interno in Siria sotto egida Onu?

R. – Esattamente! Gli altri due punti importanti, secondo me, sono che la risoluzione della crisi in Siria deve avvenire all’interno della legalità internazionale; il secondo elemento è che tutti i soggetti principali coinvolti nella crisi devono entrare a far parte del processo e la soluzione non potrà che essere di compromesso, per cui nessuno potrà reclamare di essere stato completamente escluso e di conseguenza andare a boicottare il processo che dovrà portare alla soluzione sia nel mentre che dopo. Diciamo che sono dei processi molto difficili, affatto scontanti negli esiti, senza i quali però – onestamente – non si è mai giunti alla fine dei massacri di crisi che sono tanto guerre civili quanto anche guerre regionali.

D. – Quanto conta l’assenza di una lista chiara di oppositori e quanto conta anche l’assenza di una lista chiara dei terroristi?

R. – Questo è uno dei punti importanti, ma in questo caso è un problema oltre che di rapporti di forza sul campo, che possono variare da zona a zona, è un problema soprattutto che riguarda i sostenitori esterni. Già il fatto che siano potenze o Paesi stranieri a stilare la lista dei terroristi in Siria e la lista di chi potrà invece partecipare al dialogo, è abbastanza indicativo di come tutto questo sia un oggetto di politica estera. E' un problema che si porrà ma non a tal punto da far saltare il processo negoziale. E poi obiettivamente in questi processi le forze radicali estreme  – se hanno un minimo di senso politico – annusano dove va il vento, per cui cominceranno a cambiare posizioni, come già da qualche mese molte formazioni siriane hanno iniziato a fare: quindi cambiando retorica, cambiando il linguaggio, assumendo certe posizioni… Insoma tutto diciamo "per prendere il treno". 








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