2015-12-15 15:35:00

Giubileo, Falasca: misericordia è paradigma missione Chiesa


"Dio non ama le rigidità", ha affermato Papa Francesco nell'omelia pronunciata il 13 dicembre scorso in S. Giovanni in Laterano, il giorno in cui ha aperto la Porta Santa della Cattedrale di Roma. "Quanto brutta e quanto male fa la rigidità di una donna e di un uomo di Chiesa: la rigidità clericale, che non ha speranza", ha ribadito il vescovo di Roma il giorno dopo, nell'omelia mattutina pronunciata nella Cappella di Santa Marta. Ma di cosa sta parlando Francesco? "La rigidità è l'opposto della misericordia, della speranza che ci rende liberi, come figli di Dio", commenta Stefania Falasca, giornalista di Avvenire, vaticanista e esperta di storia della Chiesa, ospite della Radio Vaticana per la rassegna stampa mattutina in dretta. "La rigidità clericale è quella di un sistema che ha dimenticato il perdono e ha confuso la tradizione della Chiesa. Un sistema che ha prodotto una sorta di 'eticismo senza bontà', di cui ha parlato tante volte il Papa". 

Il rigorismo ha radici lontane

"Non dobbiamo dimenticare - spiega la Falasca - che il rigorismo in quanto tale è una delle manifestazioni che hanno accompagnato la storia della Chiesa. Fin dai primi secoli, Ambrogio e Agostino ebbero a che fare con il rigorismo per esempio nel caso dei 'lapsi', cioè i cristiani che apostatavano la fede, per i quali non era ammesso il perdono. Entrambi i dottori della Chiesa arrivarono poi a condannare i 'rigoristi', condanna sancita dal Concilio del 325  e seguita da quella dei 'lassisti'. Si tratta, in entrambi i casi, di tratti di matrice 'ereticale' in cui la Chiesa di oggi non si può riconoscere".   

Il rigorismo è contro la tradizione

"Il rigorismo - spiega ancora la giornalista di Avvenire - nasce da una concezione ideologica del cristianesimo che ne privilegia solo certi aspetti e ne trascura altri. E non fa parte della tradizione della Chiesa, tant'è che noi siamo figli di grandi padri della Chiesa che l'hanno condannato e non certo di eretici come i 'novaziani', i 'donatisti' o i 'circoncellioni', le bande armate degli eretici donatisti che agivano in nome del rigore". "Quando il Papa parla della rigidità si riferisce ai rigoristi, quelli che erano i farisei nel Vangelo, assolutamente ligi alle prescrizioni, spesso ammoniti da Cristo che superava la legge proprio perché incarnava la misericordia".

Facilitare l'esperienza di Dio misericordioso

Sempre nell'omelia di Santa Marta del 14 dicembre, il Papa ha ricordato che in quest'anno della misericorda ci troviamo a scegliere fra due strade: quella di chi 'ha speranza nella misericordia di Dio e sa che Dio è Padre e perdona sempre tutto'. E quella di coloro che 'si rifugiano nella propria schiavitù, nella propria rigidità e non sanno nulla della misericordia di Dio'. "Sembra proprio che Francesco abbia voluto scrivere un vocabolario, elencando le parole che fanno la Chiesa e quelle che non la fanno", commenta Stefania Falasca. "Sembrano parole estemporanee del Papa, ma in realtà posseggono una verticalità, una profondità che affonda le sue radici nella grande tradizione della Chiesa di autori conciliari cone Yves Congar. Se ripercorriamo le biografie dei grandi confessori della storia della Chiesa, da Sant'Alfonso Maria de' Liguori a Leopoldo Mandić, e riguardiamo tutti i manuali di teologia sacramentaria, anche pre-conciliari, scopriremmo che hanno tutti incarnato e prescritto la sollecitudine a facilitare per ciascuno l'esperienza della misericordia di Dio".   

Il misericordioso e il principe di Dostoevskij

"Il fatto è che oggi abbiamo perso la dimensione della misericordia, senza la quale non esisterebbero il cristianesimo e la Chiesa, è che è il 'nome di Dio', il centro del Vangelo, la radice profonda dell'Antico Testamento, la parola iscritta nel Concilio come 'paradigma della missione' stessa della Chiesa. Dunque non è una novità, ma una categoria che va riproposta oggi come centrale con un'incisività che cambia la nostra prospettiva". "Il punto fondamentale che ci ricorda Francesco - sottolinea la Falasca  - è che non solo si è dimenticato il significato del termine misericordia, ma soprattutto si è dimenticato di farne una prassi della Chiesa". "Se misericordia significa 'avere il cuore per i miseri', significa anche - come ha ricordato recentemente Francesco - il modo in cui Dio agisce, si manifesta. E dunque, essendo noi stati creati a sua immagine e somiglianza, senza la misericordia, l'amore, la carità, non siamo più uomini, come scrive S. Paolo". "Tutto ciò - aggiunge la Falasca - ha delle conseguenze su come la Chiesa si rivolge verso se stessa e verso il mondo, ma anche delle conseguenze sociali e politiche. Non dobbiamo solo leggerlo dal punto di vista spirituale e sentimentale, come ha ben sottolineato recentemente la teologa Stella Morra". "Purtroppo, in una società caratterizzata dalla violenza e dalla corruzione, in cui la misericordia sembra solo debolezza, ne abbiamo perso il significato. E guardiamo al misericordioso un po' come al principe Myskim dell'Idiota di Dostoevskij. Eppure la misericordia è la base della cultura dell'incontro, la categoria che può avviare una sorta di rivoluzione copernicana, un passaggio epocale per la Chiesa". 

Il Papa è il 'peccatore perdonato'

"Atenagora scriveva - conclude la Falasca - che il compito del Papa è quello di ricordare alla Chiesa che lui è il 'peccatore perdonato', cioè il prototipo dell'uomo nuovo. E che, se dovesse dimenticarlo, profeti verranno a dire a lui che così non può essere". "E Papa Bergoglio credo ne dia testimonianza ogni giorno, nella consapevolezza che questo non solo fa parte della sua esperienza personale, ma è nello stesso istituto del Successore di Pietro". "Dobbiamo chiedere la grazia di riconoscerci peccatori, per non cadere in quel 'fariseismo' che non lascia scampo né agli altri, né a noi stessi".    








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