2015-12-14 14:38:00

Porte Sante: ci sono anche quelle che non possono aprirsi


Si aprano le Porte Sante affinché il Giubileo della Misericordia “possa essere vissuto pienamente nelle Chiese particolari”. Questo l’auspicio del Papa ieri all'Angelus domenicale. Le parole di Francesco sono così risuonate nelle diocesi di tutto il mondo. Il servizio di Giada Aquilino:

Il Signore “vuole che il nostro convivere nella società plurale diventi occasione di bene per ciascuno dei membri della nostra comunità”, affinché la logica dell’esclusione e dello scarto lascino lo spazio alla logica “del dono e alla cultura dell’incontro”. Così, il cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, ieri alla solenne celebrazione per l’apertura della Porta Santa al Duomo del capoluogo lombardo, dando il via nella diocesi al Giubileo della Misericordia. Oltre 2 mila le persone in Piazza Duomo per assistere al rito: il portale scelto è stato quello dedicato alla libertà religiosa, proprio a significare il pluralismo della comunità locale. Aperto da due penitenzieri, a varcare la soglia per primi il cardinale Scola, affiancato dal cardinale Dionigi Tettamanzi e da sei vescovi ausiliari.

Analoga cerimonia a Santiago de Compostela, dove l’arcivescovo Julián Barrio Barrio ha aperto ieri la Porta Santa della Cattedrale, invitando a riflettere sui “mille problemi” della società di oggi, da una “economia di esclusione” alla “disuguaglianza che genera violenza”, da una “mondanità spirituale” al “degrado sociale”, esortando a vivere la gioia a cui Dio ci invita, come “un impegno morale e sociale”.

Nella diocesi di Pechino, la Porta Santa è stata aperta il 12 dicembre scorso, presso la cattedrale dell’Immacolata (Nan Tang) da mons. Giuseppe Lishan. Come riporta l'agenzia AsiaNews, il presule, attorniato da sacerdoti, suore, seminaristi e laici, ha ricordato come il Papa guardi “costantemente a Gesù e al suo volto misericordioso”, sollecitando a “contemplare il mistero della Misericordia del Signore, che è fonte di gioia, di tranquillità e pace”.

Eppure, ci sono realtà in cui l’apertura della Porta Santa e le cerimonie giubilari non possono avvenire. Come nella diocesi di Malakal, capoluogo dell’Upper Nile, in Sud Sudan: il giovane Paese africano è infatti sconvolto dal dicembre 2013 da un sanguinoso conflitto civile, con continui combattimenti tra le truppe governative del presidente Salva Kiir e i ribelli dell’ex vice presidente Riek Machar. Ce ne parla suor Elena Balatti, missionaria comboniana da vent’anni nella zona, che a causa delle violenze ha dovuto lasciare Malakal per Renk, nell’estremo nord del Paese:

R. – A causa della guerra, ci sono delle zone nelle quali non è possibile che queste importanti cerimonie abbiano luogo ufficialmente. La diocesi di Malakal, il cui territorio è stato totalmente interessato dalla guerra civile, non ha la possibilità di aprire la Porta Santa perché la sede della diocesi nella città, che è capoluogo dell’Upper Nile, non è stata ancora riaperta. La parrocchia della Cattedrale è stata aperta e chiusa a varie riprese durante questa guerra civile e al momento è ancora chiusa a causa della mancanza di stabilità nel territorio. Solo la scorsa settimana, a 20 km da Malakal, c’è stato uno scontro tra le forze ribelli e le forze governative. E tutto ciò avviene benché lo scorso agosto sia stato firmato un trattato di pace tra l’opposizione armata di Riek Machar e il governo del presidente Salva Kiir. Ma combattimenti sporadici continuano e non permettono ai fedeli, che pure sarebbero desiderosi, di iniziare pacificamente l’Anno Santo.

D. – Come vivere il senso di questo Giubileo della Misericordia in un territorio ancora sconvolto dalle violenze?

R. – Da quando è stato annunciato il Giubileo, la predicazione, la catechesi, i ritiri spirituali, le iniziative pastorali stanno puntando moltissimo sul discorso della riconciliazione. Il concetto fondamentale che viene sottolineato è quanto la guerra sia frutto di violenza, quanto perciò ci sia bisogno del perdono di Dio, della misericordia da parte di Dio. E allo stesso tempo, perché questa situazione venga cambiata, c’è bisogno di misericordia dall’uomo all’uomo, dal fratello al fratello, dalla sorella alla sorella: c’è bisogno di entrare in questa ottica di sincera ricerca della riconciliazione, che è difficilissima in un contesto di guerra. Questa è la linea pastorale della Chiesa in tutto il Sud Sudan. I giovani, per esempio, nella parrocchia di Cristo Re a Renk, dove mi trovo, hanno scelto come motto per l’Anno della Misericordia: “Abbiate misericordia, così che vi venga usata misericordia”. Hanno scelto questo motto per sottolineare sia l’intervento divino misericordioso, sia la necessità di fare degli sforzi: nessuno può risolvere il problema della guerra in Sud Sudan se non i sudsudanesi. La preghiera che tutti fanno è che torni ad esserci una relativa stabilità e che tutti possano accostarsi alla misericordia divina pacificamente: perché appunto nelle zone in cui la tensione rimane alta non è ancora possibile che ci siano assembramenti, così come le cerimonie liturgiche prevedono; non è possibile che ci siano assembramenti di fedeli perché è troppo rischioso.

D. – Proprio questa situazione di estrema insicurezza in Sud Sudan, come fa interpretare la volontà del Papa di un Giubileo della Misericordia – aperto da Francesco in Centrafrica – che sia delle Chiese particolari?

R. – In una popolazione che è stata tormentata da violenze di ogni genere e da tanti anni di guerra, l’arrivo della pace verrebbe senz’altro interpretato come un segno della misericordia che Dio ha verso il suo popolo. Ciò che è una priorità è il dialogo tra le tribù del Sud Sudan, che hanno appartenenze religiose diverse, di diverse denominazioni cristiane, delle religioni africane tradizionali oppure musulmane. Però, ciò che divide i sudsudanesi in questa guerra non è la religione, piuttosto le differenze culturali e soprattutto le ambizioni di potere di alcuni politici che sfruttano le differenze etniche. In questo contesto conflittuale, il messaggio della misericordia rimane centrale: riuscire a vedere l’altro come un altro essere umano a cui deve essere usata misericordia e, allo stesso tempo, ciascuno deve riuscire a vedere se stesso come persona bisognosa di misericordia e del perdono, sia da parte di Dio sia da parte degli altri.








All the contents on this site are copyrighted ©.