2015-12-08 13:00:00

L'Anno Santo ricorda i 50 anni dalla chiusura del Concilio Vaticano II


Cinquant’anni fa, il 7 dicembre del 1965, Paolo VI chiudeva il Concilio Vaticano II. Papa Francesco ha voluto aprire il Giubileo straordinario della Misericordia in coincidenza con questo significativo anniversario. “La Chiesa - scrive Papa Francesco nella Bolla d’indizione del Giubileo - sente il bisogno di mantenere vivo quell’evento. Per lei iniziava un nuovo percorso della sua storia. I Padri radunati nel Concilio avevano percepito forte, come un vero soffio dello Spirito, l’esigenza di parlare di Dio agli uomini del  loro tempo in un modo più comprensibile. Abbattute le muraglie che per troppo tempo avevano rinchiuso la Chiesa in una cittadella privilegiata, era giunto il tempo di annunciare il Vangelo in modo nuovo. Una nuova tappa dell’evangelizzazione di sempre. Un nuovo impegno per tutti i cristiani per  testimoniare con più entusiasmo e convinzione la loro fede. La Chiesa sentiva la responsabilità di essere nel mondo il segno vivo dell’amore del Padre”. Sul rapporto tra il Concilio che ha promosso il dialogo della Chiesa con il mondo contemporaneo e l’Anno Santo che intende aprire la Porta della Misericordia a tutta l’umanità, Francesca Sabatinelli ha intervistato Agostino Giovagnoli, docente di Storia contemporanea all’Università cattolica del Sacro Cuore di Milano:

R. – Indubbiamente, c’è un nesso molto forte tra questo Giubileo della Misericordia e il Concilio Vaticano II. Anzitutto, la parola “misericordia” ci conduce nel cuore del Vaticano II: nel discorso di apertura, Giovanni XXIII indicava proprio questa parola come chiave di una scelta di tutta la Chiesa di superare una logica, pur legittima, di giustizia, la quale però poi restringe molto spesso le prospettive, blocca i processi e forse anche intristisce l’esperienza della Chiesa che è esperienza, invece, del dono della misericordia di Dio che deve essere comunicata agli uomini. Quindi, credo che, in questo senso, ci sia anzitutto un legame forte con le intenzioni che furono allora di Giovanni XXIII e che oggi Papa Francesco rilancia con tanta forza.

D. – Il Concilio Vaticano II è ricordato per i tanti documenti, per le Encicliche però, indubbiamente, il Concilio fu una svolta per la Chiesa …

R. – Fu un momento di svolta e direi che lo capiamo sempre di più man mano che ci allontaniamo nel tempo. Quella svolta che i contemporanei e gli stessi protagonisti, i Padri conciliari, coloro che erano loro vicini, forse non hanno capito, noi tutti non abbiamo capito, nella sua profondità, nella sua intensità, perché i documenti lasciati dal Vaticano II sono certamente molto ricchi e molto importanti, ma ancora più significativi sono i temi che vengono affrontati: la Parola di Dio, il rapporto con le altre confessioni cristiane, i rapporti con le altre religioni, la natura stessa della Chiesa, cioè, evidentemente, c’è dentro una spinta a un rinnovamento pur nella tradizione, perché poi c’è tutto un senso di recupero della tradizione più profonda che la Chiesa ha voluto fare con il Vaticano II, ma svincolandola da quelle rigidità di cinque secoli di storia europea, perché poi di questo si tratta: di un forte legame che è stato pur ricco e importante tra la Chiesa cattolica e la realtà dell’Europa, che era poi l’Europa nel momento del suo fulgore, l’Europa dell’età moderna ma che, man mano che la prospettiva della Chiesa è diventata sempre più ampia, sempre più globale, ha incominciato a rappresentare un limite, un freno da cui bisognava uscire e direi che il Vaticano II, con molta felicità, ha aperto delle strade che permettono, appunto, di andare in una prospettiva sempre più globale.

D. – Sembra proprio che Papa Francesco voglia ricondurre oggi questa Chiesa post-conciliare a una maggiore attenzione verso i poveri. In fondo, ne è stata dimostrazione l’apertura del Giubileo a Bangui, in Centrafrica, una terra dilaniata da violenza e da povertà …

R. – Sì, questo è stato molto bello. Lui stesso ha parlato di Bangui come  “capitale spirituale del mondo”, grazie a questo gesto. In effetti, è un rovesciamento della classica ottica centro-periferia: il centro del mondo è stato, con l’apertura di questa Porta Santa, Bangui, e questo deve diventare una prospettiva più ampia. In questo senso, il discorso sui poveri è un discorso che ha molte valenze importanti e anche qui ci ritroviamo nel cuore del Vaticano II, perché nel Vaticano II c’è stato il senso della Chiesa di tutti e in particolare dei poveri, per usare le parole di Giovanni XXIII. Forse poi si è un po’ perso, in un dibattito post-conciliare che a volte è stato confuso, ma ora invece a distanza riemerge con forza - grazie proprio a Papa Francesco – questo tema dei poveri, perché i poveri sono innovativi, i poveri sono il futuro del mondo, le Beatitudini sono rivolte ai poveri e questo non è affatto secondario, perché il Regno di Dio lo si vede nella prospettiva dei poveri, con gli occhi dei poveri. E allora, se vogliamo guardare al futuro del mondo, è da lì che bisogna ricominciare. Anche nella “Laudato si’”, c’è questo senso molto forte che i problemi dell’ambiente, oggi, richiedono di privilegiare il punto di vista dei poveri.

D. – Papa Francesco, a suo giudizio, che cosa sta cercando fortemente di recuperare, del Concilio Vaticano II?

R. – Io credo che stia cercando di recuperare lo spirito più profondo del Vaticano II, non la lettera, ma lo spirito. E insieme allo spirito, naturalmente, il senso storico di questo grande evento. Che cosa questo voglia dire, direi che ancora non lo sappiamo. In un certo senso, appunto, è un percorso, quello che stiamo facendo, per andare a recuperare ciò che davvero è essenziale di questo Concilio e ciò che magari, invece, è stato meno importante. Io credo che sicuramente ci sia un senso missionario molto forte, nel Vaticano II. Giovanni XXIII parlava di una novella Pentecoste e anche Paolo VI, al momento della chiusura, ha dato una grande prospettiva: quella del Buon Samaritano che si apre all’umanità intera e la soccorre. Quindi, c’è questo senso fortissimo, nel Vaticano II, della missione, di una Chiesa in uscita, appunto, per usare la parola di Papa Francesco. E in questo Pontificato, questo senso di apertura missionaria, questo senso di una Chiesa che si deve liberare con grande energia, con grande forza di tutto ciò che l’appesantisce o che la richiude, mi pare che sia sicuramente al cuore del Vaticano II e del messaggio di Papa Francesco.








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