2015-12-05 12:00:00

Venezuela al voto tra speranze di cambiamento e rischi di violenze


Circa 20 milioni di persone sono chiamate a votare questa domenica in Venezuela per le elezioni legislative che rinnoveranno l’Assemblea Nazionale. Una consultazione definita “cruciale” dalla Chiesa locale particolarmente preoccupata per il clima di tensione nel Paese. Secondo i sondaggi, la sconfitta dei socialisti del presidente Maduro, erede di Chavez, potrebbe essere netta. Il Paese arriva al voto con grandi difficoltà a causa di un’inflazione fuori controllo - tra il 160 e il 200% - ed una dilagante povertà. Il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, interpellato dai giornalisti a questo proposito, ha auspicato che in queste elezioni "tutti possano esprimere liberamente il proprio pensiero e le proprie convinzioni politiche in vista di creare uno spazio di dialogo e di servizio al bene comune". Un voto - ha detto - che possa "iniziare un cammino di confronto delle diverse forze nella società e nella politica per il bene comune". Su queste elezioni Benedetta Capelli ha intervistato Loris Zanatta, docente di Storia dell'America Latina all'università di Bologna:

R. – Queste elezioni rischiano di essere il muro contro cui il Paese potrebbe andare a sbattere. Al di là della situazione economica, che è veramente drammatica - derivata sostanzialmente da due ragioni: una di tipo congiunturale, che è il crollo del prezzo del petrolio sui mercati internazionali, e l’altra di tipo strutturale, che è il modello economico di tipo nazionalista assolutamente inefficiente, scelto a suo tempo da Chavez – le elezioni mettono il Paese davanti ad un bivio. Trattandosi di un regime politico che ritiene di avere un’investitura quasi divina da parte del popolo, la sua probabile sconfitta significherebbe che chi governa in nome del popolo in realtà non rappresenta la maggioranza del popolo. Sarebbe veramente una crisi di regime. E già sappiamo che il regime, come già più volte anticipato, non sarebbe disposto ad accettare questo esito. Il rischio quindi è uno scontro civile; un rischio è un colpo di Stato da parte dei militari chavisti; un rischio è una frode elettorale; un rischio è il non riconoscimento del voto da parte del governo. Insomma, il rischio è veramente immenso.

D. – Anche perché il distacco tra le due parti è molto elevato, si parla addirittura di 20 punti…

R. – Sulla carta sì. Bisogna dire che però ci sono dei trucchi. In tutti questi anni, il governo chavista, godendo del monopolio sostanzialmente di tutti i poteri pubblici e anche della Commissione nazionale elettorale, che dovrebbe essere un organo neutrale e invece è controllato dal governo, ha truccato le carte. I distretti elettorali sono stati ridisegnati in modo da penalizzare pesantemente il voto dell’opposizione, per favorire il governo. Quando si gioca con le carte truccate è difficile che ci sia un esito elettorale che garantisca l’accettazione da parte di tutti. E poi il Paese è spaccato, ma non da oggi però: il Paese è spaccato ormai dal 1998 e questa spaccatura è andata crescendo. I fallimenti del governo sono tali per cui oggi persino dei settori sociali di basso reddito, che un tempo votavano per Chavez, o non vanno a votare, delusi terribilmente dai fallimenti del governo, o addirittura sono pronti a votare per un cambiamento.

D. – Il principale oppositore di Maduro si chiama Leopoldo Lopez, economista di 44 anni, che è stato addirittura condannato con l’accusa di essere stato il fomentatore di fatti gravissimi nella scorsa tornata elettorale, con addirittura 43 morti. Ma chi è questo personaggio, ed effettivamente può rappresentare una pagina nuova per il Paese?

R. – Leopoldo Lopez è diventato sicuramente il più celebre dal momento in cui lo stesso governo lo ha voluto rendere più celebre degli altri. Ma penso che ci sia una razionalità in questo. Il governo preferisce avere come leader dell’opposizione Leopoldo Lopez, che ha dei tratti più radicali, rispetto invece a Capriles, che è il candidato storico dell’opposizione nelle ultime elezioni, perché Capriles ha un profilo assai più moderato e, quindi, meno propenso alla radicalizzazione dello scontro. Insomma, il governo cerca di scegliersi anche l’oppositore. Ma l’opposizione oggi è molto, molto vasta, perché lo scontento nel Paese è immenso.

D. – Un Paese che è appunto stretto nella morsa della povertà, del mercato nero, c’è un tasso elevatissimo di suicidi. Quali sono però le speranze per il Venezuela?

R. – E’ difficile da dire. Veramente, se uno guarda la situazione del Venezuela oggi, di speranze ne vede poche. Esistono delle possibilità, purché la comunità internazionale faccia la sua parte. Ora, la maggiore responsabilità ricade sicuramente sui Paesi dell’America Latina. Fino ad ora questi hanno tollerato l’incancrenirsi di una situazione che, palesemente, stava andando dove si trova oggi. Possono, però, ancora intervenire, possono offrire una mediazione, assicurarsi che in Venezuela avvenga una transizione e avvenga soprattutto un dialogo tra le parti. E’ impossibile andare avanti così. Questo comporta, però, che in America Latina ci siano dei cambiamenti di atteggiamento piuttosto radicali verso la crisi del Venezuela. Temo che sia un po’ tardi, però non è mai detto.








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