2015-12-03 13:33:00

Raid britannici sulla Siria. Welby: serve approccio più completo


Sale l'allerta terrorismo nel Regno Unito. Dopo i primi raid inglesi ieri, contro l'Is in Siria oltre che in Iraq, l'intelligence mette in guardia sulla possibilità concreta di attacchi imminenti. Militanti del sedicente Stato islamico sarebbero infatti stati esortati a tornare in Europa per agire. Intanto i tornado britannici avrebbero già colpito almeno sei obiettivi, tra pozzi e giacimenti di petrolio gestiti dall’Is nell'est siriano. Ma cosa cambia con l’ingresso del Regno Unito nella coalizione e quale è lo stato ad oggi della crisi siriana? Gabriella Ceraso lo ha chiesto ad  Andrea Plebani ricercatore dell’Università Cattolica:

R. – L’intervento britannico, all’interno della "operation room" della coalizione anti-Is, è più un passaggio importante a livello formale e a livello di integrazione con le altre forze. Ma non dobbiamo pensare che possa cambiare le sorti del conflitto o che possa aggiungere qualcosa di notevole alle capacità che già sono in loco. Sulla scelta di dar vita ad operazione belliche, a poche ore dalla decisione in Gran Bretagna, non c’è molto di cui stupirsi. L’aumento delle operazioni specificatamente rivolte a colpire gli "asset" petroliferi del sedicente Stato Islamico è una prova del fatto che la coalizione anti-Is, che risponde agli Stati Uniti, sia più che disposta a colpire obiettivi legati a questi traffici di petrolio, contraddicendo quello che è stato detto nei giorni scorsi da parte russa.

D. – Putin, parlando alla nazione questa mattina, ha detto: “Se qualcuno pensa che la reazione della Russia sarà solo di sanzioni commerciali si sbaglia di grosso”. Questo capitolo che si è inserito tra Russia e Turchia può tramutarsi un effettivo conflitto?

R. – Uno scontro diretto penso di no, una escalation della crisi sì e in parte la si sta già avendo, la si sta già registrando. A questo punto vediamo sostanzialmente i due presidente attaccarsi, anche abbastanza direttamente, mentre attorno a loro i diversi intermediari – quanto meno i secondi in comando – cercare invece di calmare le acque. Da parte russa formalmente non molto, perché se vediamo cosa ha detto Antonov nei giorni scorsi, in cui ha presentato immagini, ha attaccato direttamente quella che è la dirigenza turca, potrebbe apparire contrario. In realtà, ci sono sforzi affinché la crisi non superi una certa linea rossa, anche perché questo implicherebbe il coinvolgimento della Nato. In questo momento, è più una guerra di media e un mostrare i muscoli.

D. – La questione dei giacimenti e dei pozzi petroliferi sta emergendo anche in relazione a questa vicenda Russia-Turchia. Ieri, il Cremlino ha ribadito: noi li stiamo colpendo in una maniera in cui la coalizione, quella a guida statunitense, non ha fatto finora. Giacimenti e pozzi petroliferi sono la chiave per smontare effettivamente la macchina dell’Is?

R. – No, non sono la chiave, ma sono uno dei mezzi utili. Ma è proprio la strategia che è in atto in questo momento che non è sufficiente. Non basta colpire dall’alto e su questo non c’è alcun dubbio. Serve sicuramente di più e serve sicuramente un coinvolgimento delle potenze regionali e internazionali diverso, anche un allineamento, trovare la quadra di un cerchio che in questo momento è lontanissima dall’essere raggiunta... Serve pensare a un piano futuro e quindi bisogna agire su molteplici livelli - economico, militare, diplomatico, politico - e pensare anche a cosa fare dopo, perché  gli incrementi di questi ultimi anni hanno sempre dimostrato una pericolosissima mancanza di programmazione. Serve essere disposti a sostenere per lungo periodo questi Paesi che, comunque, avranno bisogno di aiuto per decenni e non per anni. Pena il ritorno alla situazione che purtroppo stiamo vedendo in questo momento: il caso iracheno è un caso evidente.

D. – Quindi, anche quello che ha detto oggi Kerry, il segretario di Stato americano, e cioè che è necessario trovare truppe di terra per combattere l’Is, perché la guerra contro questo sedicente Califfato non si vince dai cieli, fa parte di quella strategia globale, cui lei faceva riferimento?

R. – A mio modesto modo di vedere, sì. Quando si parla di questo fattore io ritengo sia necessario fare un distinguo: quello che serve veramente è dare vita a una coalizione che sia la più ampia possibile, che tragga risorse, uomini e consenso all’interno del mondo islamico e quindi soprattutto in Iran, Arabia Saudita e Turchia, più i vari altri attori della regione. Quindi, è veramente importante intervenire in questo senso e intervenire in modo sistemico e coordinato. Purtroppo, si tratta di un nemico reale che ogni giorno che passa ha la possibilità di rafforzare le proprie radici, di rafforzare la propria presa, anche a livello ideologico, e questo è un fattore troppo poco spesso sottolineato, a mio modo di vedere.








All the contents on this site are copyrighted ©.