2015-11-29 06:03:00

Giornata popolo palestinese: Caritas Gerusalemme pensa a Gaza


Il 29 novembre 2012 la Palestina è divenuta ‘Paese osservatore, non membro’ dell’Onu e, ad oggi, 136 Stati la riconoscono. A sottolinearlo è il Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, in occasione della Giornata Onu di solidarietà col popolo palestinese, che - dal 1977 - si osserva ogni 29 novembre. Ciò nonostante, sottolinea il Palazzo di Vetro, i progressi compiuti finora non possono essere vissuti appieno “dai bambini di Gaza o dai residenti di Nablus, Hebron e Gerusalemme Est”, ricordando una “occupazione” israeliana che dura “da quasi 50 anni”. Pensando a Gaza, Caritas Gerusalemme dedica per Natale diverse iniziative di vicinanza e solidarietà per le famiglie cristiane locali. Della situazione nella Striscia parla padre Raed Abusahlia, direttore generale di Caritas Gerusalemme, intervistato da Giada Aquilino:

R. – Niente è cambiato a Gaza da 15 anni. Direi che la situazione è anche peggiorata, perché ci sono quasi due milioni di persone che vivono nella più grande prigione a cielo aperto nel mondo. Il blocco non è stato levato, non hanno aperto i passaggi, non lasciano entrare aiuti umanitari né materie prime per la ricostruzione. La disoccupazione è arrivata al 60%, la povertà è all’80%. L’acqua è salata, l’elettricità arriva cinque ore al giorno. In tutta questa situazione abbiamo 1.300 cristiani, cattolici e ortodossi, in tutto 350 famiglie. E con loro noi lavoriamo come Caritas Gerusalemme dal 1990 in due Centri medici e siamo intervenuti nelle ultime tre guerre, nel 2008, 2012 e 2014.

D.  –Questa situazione di grave difficoltà per Gaza accomuna cristiani e musulmani?

R. – Quello che succede ai musulmani succede anche ai cristiani. In uno studio che noi abbiamo fatto, abbiamo scoperto che il 34% delle famiglie cristiane non ha alcuna fonte di reddito e dipende totalmente dagli aiuti umanitari offerti dalla Chiesa e dalle organizzazioni umanitarie che lavorano a Gaza.

D. – Quest’anno, per Natale, Caritas Gerusalemme promuove varie iniziative di vicinanza e solidarietà per i cristiani di Gaza. Di cosa si tratta?

R.  – Noi abbiamo lanciato due iniziative. La prima si chiama “From hand to hand”, “Da una mano all’altra”, e questa iniziativa è indirizzata ai nostri studenti dei Territori palestinesi occupati, a Ramallah, a Gerusalemme e a Betlemme; chiediamo loro di comprare un regalo di Natale per uno studente a Gaza. La seconda ha come titolo “From family to family”, “Da una famiglia all’altra”, ed è indirizzata a tutti i nostri amici nel mondo, tutte le parrocchie, tutte le diocesi. Lo scopo non è soltanto mandare 150 dollari a ogni famiglia di Gaza ma anche sensibilizzare i nostri amici del mondo, la Chiesa universale, sul fatto che a Gaza c’è una popolazione “chiusa”: noi vogliamo che queste famiglie rimangano lì, perché non vogliamo perdere la presenza millenaria dei cristiani a Gaza.

D. – Lei ha appunto detto che sono 350 le famiglie cristiane che vivono a Gaza: di queste, il 34% non ha nulla. Come vivono e come vi impegnate affinché possano rimanere lì a Gaza e non emigrino all’estero?

R. – A Gaza lavorano tante organizzazioni umanitarie, perlopiù cristiane. Inoltre abbiamo due parrocchie, la parrocchia ortodossa e la parrocchia latina. Abbiamo le suore del Rosario, di Madre Teresa, del Verbo Incarnato. Dunque questa piccola comunità di 350 famiglie è circondata dall’affetto, dalla cura pastorale e anche dall’aiuto umanitario di noi tutti. Proprio in queste ore ho ricevuto la notizia che, prima di Natale, faremo partire 5 progetti di sviluppo in modo che 5 famiglie possano avere un lavoro e un reddito.

D. – In occasione della Giornata internazionale di solidarietà col popolo palestinese, qual è l’appello di Caritas Gerusalemme?

R. – Questa situazione di conflitto non può continuare. La comunità internazionale deve impegnarsi facendo pressione su ambedue le parti, israeliani e palestinesi, per risolvere questo conflitto. Direi, senza voler esagerare, che se vogliamo la pace e la tranquillità nel mondo arabo, islamico, nel Medio Oriente, dobbiamo risolvere il problema a Gerusalemme: perché Gerusalemme è la radice di tutto questo conflitto e sarà la chiave della soluzione.








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