2015-11-25 14:56:00

Il Gambia mette al bando le mutilazioni genitali femminili


Dopo la Nigeria, nel luglio scorso, anche il Gambia ha annunciato due giorni fa la decisione di mettere fuorilegge la mutilazione genitale femminile, pratica molto diffusa nel piccolo Paese africano così come in tutto il resto del continente, dove si calcola che venga imposta al 76% delle donne e al 56% delle minori di 14 anni. Il provvedimento, annunciato dal presidente, Yahya Jammeh, avrà effetto immediato, ma molte associazioni femminili locali chiedono il varo di una legge che rafforzi la decisione. Francesca Sabatinelli ha intervistato Fabio Manenti, medico del Cuamm, Medici con l’Africa, per anni attivo in Uganda ed Etiopia:

R. – E’ sicuramente il primo passo. Per la mia esperienza, per aver vissuto un po’ in Africa, avrà il limite poi di diventare quotidianità. Si parla in generale di mutilazione genitale femminile ma ce ne sono di diversi tipi, soprattutto alcuni tipi rispondono a consuetudini e pratiche legate alla iniziazione della donna verso i rapporti sessuali e poi al matrimonio. Quindi, fanno parte di quei motivi culturali per cui, al di là del fatto che diventi un reato penale, va a cozzare contro quelle abitudini che davvero per modificarsi richiedono un cambiamento culturale nelle persone, nelle famiglie, nella società stessa. Senza quello, difficilmente questa decisione avrà un reale impatto sulle donne, che continueranno a venire mutilate con le conseguenze che poi sappiamo.

D. – Spesso le autorità dei vari Paesi africani, le leadership dei Paesi africani, cercano di intervenire. Sono nate molte organizzazioni femminili che lottano affinché a questa pratica si metta un termine, eppure ancora oggi si contano nel mondo oltre 130 milioni tra donne e ragazzine che sono state violate da questa pratica. Come fare?

R. – Forse, bisogna proprio partire dal rendere pubblici il più possibile i danni, le conseguenze talvolta anche mortali, di queste pratiche. Bisogna far sapere che non servono a nulla, non servono neanche veramente a quello che vorrebbero prevenire da un punto di vista culturale. E bisogna partire dalle scuole. Questa pratica lede uno dei diritti fondamentali della persona, della donna in questo caso: si deve partire dall’educazione delle donne, ma anche dei maschi. Quindi, nelle scuole si deve ribadire cosa sia il diritto alla persona, l’inviolabilità del fisico stesso e, attraverso questo, cambiare anche le pratiche e i costumi abituali perché è entrata veramente come pratica di un costume, così come sposarsi con l’abito bianco è un po’ la stessa cosa. In queste culture, in questi ambienti, essere circoncisi o aver subito la mutilazione fa parte del rito, perché altrimenti non puoi arrivare a quel traguardo. Per cui, vuol dire proprio entrare a cambiare comportamenti che si possono cambiare solo dal basso, cioè solo dai più giovani. E bisogna arrivare ai maschi, perché in queste culture la discriminazione di genere è ancora molto importante.

D. – Lei ha un’esperienza decennale alle spalle: 12 anni in Africa, tra Uganda ed Etiopia, Paese quest’ultimo che ha messo al bando le mutilazioni genitali femminili…

R. – ...nel 2004...

D. – ...e come si è sviluppata l’attenzione in questi 11 anni?

R. – In Etiopia, si fa soprattutto la circoncisione, che quindi ha complicanze più limitate. Però, tutte le donne che ho sempre visto, anche dopo il 2004, le ho viste circoncise. Di quelle che arrivavano da me in ospedale, a partorire o per essere visitate, non ne ho vista una non circoncisa. Quindi, credo che la prevalenza resti ancora molto alta. Vere campagne, vere attività contro questo tipo di pratica, non le ho vissute.








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