2015-11-23 15:30:00

Rapporto Onu sull'apolidia: il dramma dei cittadini inesistenti


“I’m here. I Belong", “Sono qui. Appartengo" con questo slogan l'Acnur, l'Alto Commissariato Onu per i rifugiati, ha presentato il Rapporto che fa il punto sullo stato degli apolidi, individui senza cittadinanza. Lo studio, il cui approfondimento riguarda in particolare i bambini, segue di un anno il lancio della campagna per contrastare l'apolidìa che condanna di fatto ad un’esistenza di discriminazione basata sulla frustrazione e la mancanza di diritti dovuti al non appartenere ad alcuno Stato. Sull'importanza del diritto alla patria e sulle conseguenze dell’apolidìa, Francesca Di Folco ha chiesto a Federico Fossi dell’Acnur un’analisi sui risultanti dal rapporto:

R. – Sì, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ha lanciato un interessantissimo Rapporto sui minori apolidi, che ha preso in esame casi di oltre 250 persone – non solo bambini, giovani, ma anche genitori e tutori – in sette Paesi: la Costa d’Avorio, la Repubblica Dominicana, la Georgia, la Giordania, la Malesia e la Thailandia, oltre al nostro Paese. E’ un Rapporto che viene lanciato a un anno, invece, dall’inizio di una campagna globale dell’Acnur – “I belong” – che ha come obiettivo quello di porre fine all’apolidia entro il 2024. In particolare, questa campagna propone una serie di misure che gli Stati dovrebbero adottare al fine di porre fine all’apolidia, e queste sono: consentire ai bambini di acquisire la cittadinanza del Paese in cui sono nati, bambini che altrimenti sarebbero apolidi, quindi privi di nazionalità; riformare – appunto – le leggi che impediscono alle madri di trasferire la propria cittadinanza ai figli in condizione di parità rispetto ai padri, cioè il trasferimento ereditario dalla madre ai figli; eliminare le leggi e le pratiche che negano la cittadinanza ai bambini a causa della loro nazionalità, etnia, razza o religione e assicurare infine che venga realizzata universalmente la registrazione delle nascite in modo da prevenire l’apolidia, cosa che non avviene in tutti i Paesi del mondo.

D. – Quali sono, di fatto, le conseguenze che comporta l’essere apolide?

R. – Bambini che si descrivono come “invisibili”, come “alieni”, come “persone che vivono nell’ombra”, “inutili”, addirittura come “cani randagi”: questo vi dà un’idea di cosa voglia dire essere apolide. Essere apolide è una condizione di estrema vulnerabilità e assenza di diritti: di fatto, l’apolide è una persona a cui è negato un diritto umano fondamentale, che è quello della nazionalità, riconosciuto dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Essere privi della nazionalità comporta una serie di difficoltà enormi, impensabili proprio perché diamo per scontato il godimento di tutti i diritti che sono correlati, appunto, alla nazionalità: quindi, l’accesso all’istruzione, alle scuole, all’università, al sistema sanitario nazionale; l’apolide non ha libertà di movimento, addirittura non può sposarsi. Quindi vive una situazione di irregolarità perenne e anche di soggiorno, se non ha riconosciuto lo status di apolide: può essere soggetto a periodi di detenzione amministrativa, a ordini di espulsione … sono persone che si sentono straniere nel Paese in cui in realtà sono nate …

D. – Intorno a che cifre orbita il fenomeno, sia a livello mondiale sia italiano?

R. – Gli apolidi nel mondo sono stimati in circa 10 milioni: è una stima, non è un dato scientifico, proprio perché sono solo 64 i Paesi che hanno comunicato all’Anur i dati che permettono di contare le persone. Il dato sull’Italia è mancante, se non una stima approssimativa che dovrebbe superare i 10 mila, ma sul quale non ci sono dati ufficiali.

D. – L’Italia ha recentemente aderito alla Convenzione del 1961 sulla riduzione dell’apolidia: a che punto è la normativa attualmente vigente e come modificarla per salvaguardare i diritti di ognuno?

R.- Sì, l’Italia – il 10 settembre – ha approvato in via definitiva la legge di adesione alla Convenzione sulla riduzione dell’apolidia del 1961 e questo fa sì che l’Italia si aggiunga a 64 Paesi che hanno aderito a questa Convenzione. Ma in realtà, sono due le Convenzioni: la Convenzione relativa allo Statuto delle persone apolide del 1954 e la Convenzione sulla riduzione dell’apolidia del ’61. E’ molto importante che gli Stati aderiscano a questa convenzione perché possa essere previsto in ogni Stato il riconoscimento dello status di apolidia. Pur rimanendo senza nazionalità, lo status di apolidia permette quantomeno di non incorrere nel pericolo di detenzione o ordini di espulsione da parte dello Stato in cui la persona vive.








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