2015-11-20 11:59:00

Papa a vescovi tedeschi: Chiesa esca tra la gente, non sia paralizzata


Il dramma dei profughi che arrivano in Europa e il richiamo ad una Chiesa che sia missionaria e non un sistema chiuso sono stati i temi forti del discorso di Papa Francesco ai vescovi tedeschi ricevuti in visita ad Limina. Dal Pontefice anche l’incoraggiamento a non lasciarsi paralizzare dai “bei tempi andati” girando sempre intorno alle stesse domande e interrogativi. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Accogliere i bisognosi che sfuggono da guerre e persecuzioni. All’inizio del suo intervento, consegnato ai vescovi della Germania, Papa Francesco sottolinea che le “Chiese cristiane e molti singoli cittadini” tedeschi “prestano un enorme aiuto per accogliere queste persone dando loro assistenza e vicinanza umana”. E incoraggia i cristiani a “continuare ad affrontare” questa sfida in un tempo che definisce “eccezionale”.

No ad una Chiesa paralizzata, ferma sui “bei tempi andati”
Francesco rivolge dunque l’attenzione alla situazione della Chiesa cattolica in Germania, con un sguardo che va al di là dei confini del Paese. Il Pontefice rileva che sono sempre meno le persone che ricevono la Cresima o contraggono il matrimonio cattolico e oggi, constata, meno di un fedele su dieci in Germania va a Messa la domenica. Cosa possiamo fare, si chiede il Papa? Innanzitutto, è la sua risposta, “bisogna superare la rassegnazione che paralizza”. Certamente, avverte, “non è possibile ricostruire dai relitti dei bei tempi andati quello che fu ieri”. Possiamo però ispirarci alla vita dei primi cristiani che annunciarono il Vangelo traendo forza dalla Parola di Dio.

Evitare inaugurazione di nuove strutture se poi mancano i fedeli
Il Pontefice segnala il rischio di una “crescente istituzionalizzazione”. E avverte: “Vengono inaugurate strutture sempre nuove, per le quali alla fine mancano i fedeli”. Si tratta, afferma, di “una sorta di nuovo pelagianesimo che ci porta a riporre la fiducia nelle strutture amministrative, nelle organizzazioni perfette”. “Un’eccessiva centralizzazione, anziché aiutare – soggiunge – complica la vita della Chiesa e la sua dinamica missionaria”. La Chiesa, riprende, “non è un sistema chiuso che gira sempre intorno alle stesse domande e interrogativi”. La Chiesa, sottolinea Francesco, “è viva, si presenta agli uomini nella loro realtà, sa inquietare, sa animare” ed ha un “volto non rigido”, ha un corpo: “il corpo di Gesù”.

Chiesa diventi più missionaria, contrastare la mondanità
“L’imperativo attuale – esorta Francesco – è la conversione pastorale, cioè fare in modo che le strutture della Chiesa diventino tutte più missionarie” e ancora una volta chiede che gli “agenti pastorali” vivano un “costante atteggiamento di uscita”. Il Papa ribadisce così la denuncia della mondanità che, dice, “deforma le anime, soffoca la coscienza della realtà”. Una persona mondana, ammonisce, “vive in un mondo artificiale che lei stessa si costruisce. Si circonda come di vetri oscurati per non vedere fuori. E’ difficile raggiungerla”. Per vincere questo rischio, il Papa chiede ai pastori di “stare tra la gente con l’ardore di quelli che hanno accolto il Vangelo per primi”. In questo modo, soggiunge, “si possono aprire nuove vie e forme di catechesi per aiutare i giovani e le famiglie ad una riscoperta autentica”.

Chiesa non si stanchi mai di essere avvocata della vita
Francesco esorta quindi i vescovi ad essere maestri della fede. In particolare si sofferma sulle Facoltà teologiche, rilevando che “la fedeltà alla Chiesa e al magistero non contraddice la libertà accademica, ma esige un umile atteggiamento di servizio ai doni di Dio”. Ancora, si augura che nell’Anno giubilare della Misericordia, la Confessione e l’Eucaristia siano riscoperti da tanti fedeli. Quindi, rivolge un accorato appello affinché la Chiesa non si stanchi mai “di essere l’avvocata della vita” e non faccia mai “passi indietro nell’annuncio che la vita umana sia da proteggere incondizionatamente dal momento del concepimento fino alla morte naturale”. “Quanto grandi – avverte – sono le ferite che la nostra società deve subire per lo scarto dei più deboli e più indifesi”, “tutti noi alla fine ne porteremo le conseguenze dolorose”.








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