2015-11-19 15:05:00

Belgio. Il ruolo chiave di Molenbeek nel radicalismo salafita


Dopo la strage di Parigi le forze speciali stanno conducendo ispezioni antiterrorismo a Molenbeek e in altre aree di Bruxelles, luoghi frequentati da Bilal Hadfi, uno dei kamikaze che si è fatto esplodere nei pressi dello Stade de France venerdì scorso. Il Belgio ha il più elevato numero di "foreign fighters" partiti per la Siria e l’Iraq sotto le bandiere del cosiddetto Stato islamico: oltre 350 su undici milioni di abitanti. Il sociologo delle religioni dell’Università degli Studi di Padova ed esperto della realtà islamica belga, Stefano Allievi, ha spiegato ai microfoni di Veronica Di Benedetto Montaccini quali siano le ragioni del dilagante estremismo:

R. – In Belgio, si sono incapsulate in alcuni quartieri di Bruxelles alcune componenti musulmane poco controllate di tipo tradizionalista, all’interno di questa corrente si è ormai resa molto presente, anche nelle seconde generazioni, una tendenza salafita radicale, rivendicativa, polemica contro l’occidente.

D. – Forse, nel quartiere di Molenbeek è fallita l’integrazione ed è diventato un ghetto sociale isolato?

R. – C’è un ruolo fondamentale dei predicatori, di Internet, che certo in una situazione che più disoccupazione, di ampia disponibilità a fare qualcosa – qualunque cosa, ma qualcosa di altro rispetto a quello che fanno – oggi trova una risposta in chiave religiosa. Fossimo negli anni Settanta probabilmente l'avrebbero trovata in chiave politica.

D. – Quali sono i motivi di un’estremizzazione dell’islam e cosa c’entra questo con gli attentati di Parigi?

R.  – Chi studia la situazione belga da più tempo si era accorto però che già da una ventina di anni, non da poco, questo clima neosalafita, un po’ oppressivo, un po’ cupo, culturalmente chiuso, diciamo così, era ampiamente diffuso senza tante controindicazioni o controtendenze o contropoteri o controproposte di tipo culturale.

D. – Quali possono essere le azioni di inclusione sociale e anche di contrasto?

R. – Il governo britannico, per esempio, dopo gli attentati del 2005, le bombe nella metropolitana, aveva deciso di investire moltissimo e a ragione sulle politiche inclusive nei quartieri, sulle forme di autoaiuto delle comunità, progetti legati alla vivibilità dei quartieri, all’offerta culturale alternativa, all’offerta dei servizi sociali, e tutto questo è necessario. Non possiamo immaginare che sia una battaglia di breve periodo, durerà a lungo. Quello che dobbiamo capire soprattutto, però, è che si tratta di una battaglia culturale interislamica, all’interno del mondo islamico.

D. – Come ci si riesce ad arruolare tra i "foreign fighters" e quali sono i network utilizzati? In particolare quali sono le strategie di "Sharia4Belgium", il gruppo terroristico che sceglie i suoi adepti direttamente da Molembeek?

R. – E’ diventato molto, molto semplice. Un salto di qualità gigantesco. L’Is non è al Qaeda, in al Qaeda non era facile entrare: chiunque avesse chiesto di entrare in al Qaeda sarebbe stato sottoposto a screening, sarebbe potuto essere considerato un provocatore. Per entrare nel Califfato, basta prendere un aereo per Istanbul e dopo si trovano i canali e si viene inquadrati abbastanza facilmente: ti mettono un kalashnikov in mano e tanto anche se muori ... non devi fare raffinati e complicati attentati alle Torri Gemelle, diventi carne da macello di una guerra in cui ogni morto diventa un martire da rivendicare che produce ulteriore militanza. La maggior parte delle persone è entrata in contatto con queste reti via internet, attraverso facebook e twitter. Poi, ci sono gruppi più organizzati come quello che lei ha citato, in Belgio, "Sharia4Belgium", ma anche altri in giro per l'Europa: persone che si sono radicalizzate in fretta, che spesso sapevano poco dell’islam, che l’hanno scoperto in carcere o su internet e che in pochi mesi si ritrovano con la barba lunga, combattenti in Siria e magari cadaveri.








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