2015-11-16 13:48:00

Birmania, dopo le elezioni a febbraio il nuovo presidente


In Myanmar, con le prime elezioni libere dopo 25 anni, la Lega nazionale per la democrazia (Lnd) guidata dal Premio Nobel per la pace, Aung San Suu Kyi, ha ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi. Quando a gennaio verrà scelto il presidente del Paese i problemi da affrontare saranno di natura etnica, ambientale ed economica. Quali saranno le strategie politiche per governare insieme ai militari cui, secondo la Costituzione, spetta di diritto un quarto del parlamento? Veronica Di Benedetto Montaccini ne ha parlato con Emanuele Giordana, giornalista e presidente di Lettera22:

R. – Gli osservatori dell’Unione Europea non hanno riscontrato violazioni o stranezze. Hanno considerato queste elezioni “libere e corrette” e lo stesso ha fatto la Carter Foundation. Questa è una buona notizia ed è una svolta. È chiaro che si possono determinare molte cose, anche una serie di alleanze con gruppi minori e Aung San Suu Kyi potrebbe decidere di dare anche alcuni dicasteri, o comunque alcuni posti importanti dell’amministrazione, almeno ai due partiti di minoranza che hanno vinto 17-18 seggi, quelli degli Shan (Lega nazionale democratica Shan - ndr) e degli Arakan (Lega democratica Arakan - ndr). Quindi potrebbe essere possibile tentare di cambiare la Costituzione, che è quello che impedisce a Aung San Suu Kyi di diventare presidente.

D. – Sono diversi i problemi che si troverà ad affrontare il governo. Forse il più complesso è quello delle minoranze etniche armate: come si può far fronte a questa mancanza di integrazione?

R. – Questo è un problema grosso, perché la metà degli abitanti del Myanmar è composta da minoranze etniche. Mentre il gruppo dominante, i birmani, è quello che domina anche la “Lega Nazionale per la Democrazia”, motivo per il quale c’è sempre stata una certa sfiducia reciproca. Allora, lasciando da parte la questione dei Rohingya e dei musulmani, che non hanno nessun tipo di rappresentanza – è gente che non ha nemmeno potuto votare e questo costituisce un disagio enorme – l’altro problema è quello di negoziare con i partiti della guerra. C’è un cessate-il-fuoco da ottobre, ma adesso bisognerà vedere che cosa succede: non è detto che la Lega riesca, almeno in tempi brevi, a negoziare con tutti.

D. – Un’altra emergenza è quella ambientale. Molti conflitti nascono in ragione dell’estrazione mineraria e della deforestazione. Questi ultimi si riflettono poi anche nell’economia del Myanmar

R. – I Paesi, compresi quelli occidentali, sfruttano le risorse naturali del Myanmar. Il più importante è ovviamente il più vicino, la Cina. E poi c’è anche l’India. Sono questi i Paesi che in realtà impongono di lavorare sul territorio in una maniera che poi lo distrugge.

D. – Come si evolveranno le relazioni e i rapporti bilaterali con la Cina?

R. – I cinesi sono molto pragmatici. Quindi, il fatto che al governo ci siano dei militari di destra o che ci sia un partito democratico e riformista per loro non fa molta differenza, purché i propri interessi siano salvaguardati. Gli interessi economici, prima di tutto, e poi quelli che riguardano le frontiere: la lunga frontiera che la Cina ha con il Myanmar. Naturalmente la Cina deve tenere conto sia della presenza degli Stati Uniti, ma anche di quella dell’India, che è l’altro grande "competitor" su questa strada. Sarà quindi un negoziato diplomatico difficile per fare in modo che la Cina resti il partner importante che è, cosa che per il Myanmar è fondamentale.








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