2015-11-16 14:42:00

Armi e guerre. Simoncelli: quelle leggere fuori controllo


Dopo i tragici attentati di Parigi rivendicati dall’Is, riecheggia la parola "guerra" tra tutti i Paesi nel mirino dello Stato islamico. Si discute di strategie militari e di soluzioni politiche alternative per vincere il nemico dichiarato e si riaccende il dibattito sull’opportunità di produrre ed esportare armi, che alimentano infine i conflitti in ogni angolo del pianeta. Roberta Gisotti ha intervistato Maurizio Simoncelli, vicepresidente dell’Istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo:

D. – Dr. Simoncelli, che gran parte del mondo fosse in riarmo si sapeva dagli ultimi rapporti su produzione, export e import di armi. E’ dunque giusto collegare il business delle armi alle conseguenze nefaste delle guerre in Medio Oriente e in Nordafrica, che atterriscono ora anche l’Occidente?

R. – Certamente, è uno dei grossi nodi della nostra epoca contemporanea. Teniamo presente che, rispetto ai primi anni Novanta, con circa 1.200 miliardi di spese militari mondiali, oggi siamo a 1.700 miliardi: abbiamo aumentato di quasi il 50%! E poi, il problema non è soltanto quello del commercio ufficiale tra gli Stati. Il problema è anche quello del commercio clandestino delle armi, di cui è molto più difficile avere informazioni. Ma quello che preoccupa ancora di più, non è tanto la vendita degli elicotteri o delle portaerei che devono essere venduti inevitabilmente alle Forze armate di uno Stato regolare, che poi magari sia più o meno democratico, è un altro elemento da tenere in considerazione. Quello che preoccupa di più, a mio avviso, è la circolazione delle cosiddette "armi piccole e leggere": andiamo dalle pistole ai piccoli mitragliatori, alle bombe, agli esplosivi, alle munizioni che alimentano le guerre infinite che ci sono in giro per il mondo.

D. – A questo proposito, sappiamo che l’Italia – che è all’ottavo posto nella classifica generale tra i Paesi maggiori produttori ed esportatori di armi – è invece al primo posto nell’esportazione di armi leggere e queste sono in aumento in Medio Oriente e in Africa…

R. – Sono dati che ovviamente ci fanno inquietare, perché sono vendite inizialmente legali alle Forze armate regolari ma poi, nel corso degli eventi, di queste armi si perde traccia e vanno finire nel grande mercato illegale. Esempio clamoroso: a Gheddafi sono state vendute nel corso degli anni tantissime armi e nel momento in cui è crollato il suo regime, di queste armi si è persa traccia. Di alcune sono state trovate tracce in Siria, di altre in Mali, di altre nell’area palestinese, nel Sinai e così via… Non dimentichiamo che Osama Bin Laden e al Qaeda furono armati e addestrati, a suo tempo, per combattere contro l’invasione sovietica dell’Afghanistan.

D. – Stati Uniti, Russia, Cina, Germania, Francia e Gran Bretagna sono i sei maggiori produttori ed esportatori di armi nel 2014. Quindi, cinque Paesi del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, che in in realtà, è l’organismo che dovrebbe soprassedere al mantenimento della pace nel mondo…

R. – Sì, questa è una delle contraddizioni storiche, ormai, di questo organismo, perché risale all’epoca della Guerra fredda, ad esclusione della Cina che all’epoca non era uno dei maggiori produttori e commercianti di armi. Ma rimane il problema che le normative attualmente valide a livello internazionale – come il Trattato internazionale sul commercio degli armamenti, che è stato varato dall’Onu due anni fa ed è entrato in vigore un anno fa – non hanno ancora la firma dei maggiori produttori di armi, come Stati Uniti, Russia,  Cina. Questo è un "vulnus"gravissimo al primo tentativo internazionale di mettere sotto controllo questo settore. Finché rimarrà incontrollato, non possiamo certamente meravigliarci delle guerre continue che purtroppo si diffondono sul nostro pianeta.

D. – Bisognerà che questo dibattito sulla produzione e sull’esportazione delle armi prenda luce…

R. – E’ fondamentale che l’opinione pubblica possa essere informata e possa avere dati certi, che possa rendersi cosciente di quello che sta avvenendo. Anche in Italia noi abbiamo una legge dal 1990, la 185, che cerca di porre sotto controllo le esportazioni di armi. Ma nel corso degli anni, la relazione che viene presentata annualmente dalla Presidenza del Consiglio diventa sempre più opaca, sempre più difficile da leggere – aumentano il numero di pagine ma non aumenta la trasparenza. E invece è necessario che si sappia chi vende, cosa viene venduto, a chi viene venduto, il valore di queste armi, e che questo avvenga in sintonia con i principi ispiratori sia della nostra legge italiana, la 185, sia con quelle del Trattato internazionale che dicono che non bisogna vendere armi ai Paesi in guerra, dove c’è rischio che non vengano rispettati i diritti umani, dove ci sono dittature e quant’altro.








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