2015-11-12 10:29:00

Mons. Nykiel: confessionale “porta santa dell’anima"


E’ in svolgimento a Roma, presso il Palazzo della Cancelleria, il V Simposio annuale organizzato dalla Penitenzieria Apostolica, dedicato quest’anno al tema "Penitenza e Penitenzieria nel secolo del Concilio di Trento. Prassi e dottrine in un mondo più largo (1517-1614)" . In proposito Fabio Colagrande ha intervistato mons. Krzysztof Nykiel, reggente della Penitenzieria Apostolica:

R. - Il secolo del Concilio di Trento è un’epoca storica fondamentale e di svolta per la Chiesa. Infatti, il periodo indicato nel convegno, come è noto, porta in sé l’esigenza e l’attuazione della riforma della Chiesa, che caratterizzava i vari livelli del tessuto sociale della Christianitas del tardo medioevo. I diversi e qualificati relatori che si avvicendano nel corso del Simposio presentano secondo le proprie competenze e specifiche ricerche, le importanti novità e riforme che dal punto di vista teologico, giuridico, culturale, sacramentale, liturgico e pastorale questo Concilio Ecumenico ha introdotto nella Chiesa Cattolica. Se volessimo tentare di sintetizzare in poche linee i contributi offerti dal concilio, potremmo parlare di una decisa e sistematica volontà di tornare ad educare alla fede della Chiesa e potremmo indicarne il contributo dottrinale nei testi approvati concernenti la giustificazione e i sacramenti, mentre quello disciplinare e pastorale in quelli riguardanti la residenza dei vescovi e i loro doveri pastorali, l’istituzione del seminario per la formazione del clero diocesano e l’istruzione catechistica dei fedeli.

D. - Ci vuole sinteticamente ricordare le disposizioni emanate dal Concilio di Trento sul sacramento della penitenza?

R. - Per quanto concerne il testo in merito alla dottrina del sacramento della penitenza, il Tridentino lo approvò durante il secondo periodo del suo svolgimento, nella Sessione XIV del 25 novembre 1551, ai capitoli da 1 a 9, in modo speciale nel cap. 5 dal titolo De confessione. Di fronte alle contestazioni dei protestanti circa il sacramento della penitenza, il Concilio di Trento insisterà su tre punti: necessità per ogni cristiano di confessare almeno una volta l’anno i peccati gravi; necessità per il penitente di presentare le proprie colpe al ‘giudizio’ del confessore, il quale può concedere o rifiutare l’assoluzione; sforzo teologico per provare che queste esigenze non sono semplici regole fissate dalla Chiesa, ma sono “di diritto divino”, vale a dire vengono da Dio stesso.

D. - Il sottotitolo del Simposio fa riferimento ad “un mondo più largo”. Qual è il senso di questa affermazione?

R. - Il periodo storico del Concilio di Trento è il tempo della missio ad gentes. Alla riforma della Chiesa si associa la missione e la diffusione della fede presso popoli e culture prima sconosciute e che iniziavano a far parte della Chiesa. Josef Glazik ha parlato di una «primavera missionaria all’inizio dell’età moderna». La Chiesa, secondo l’immagine patristica del giardino, veniva arricchita da nuove e tenere pianticelle appartenenti alle terre che, nell’ottica europea, vennero chiamate in vari modi tra cui Indie Orientali e Indie Occidentali, dove i missionari si misurarono con ambienti, culture e tradizioni religiose che imposero loro riflessioni profonde sulle metodologie dell’annuncio evangelico e della nuova convivenza cristiana, nonché l’elaborazione di strumenti utili a tal fine come per esempio i catechismi realizzati nell’America spagnola da vari missionari, o in Asia da Matteo Ricci per la Cina o da Alessandro Valignano per il Giappone. La scoperta di nuovi popoli e territori obbligarono, quindi, la cultura e la scienza europea coeva a rivedere le proprie conoscenze, a lasciarsi mettere in discussione per potersi aprire al nuovo (il Nuevo mundo) e incorporarlo, assimilarlo. Così è avvenuto anche per la Chiesa. Sappiamo, infatti, che l’evangelizzazione del Nuovo Mondo ha significato un grande e generoso sforzo anche da parte della Chiesa, soprattutto iberica, rappresentata dai religiosi (francescani, domenicani, agostiniani, mercedari e dal 1568 anche gesuiti) che hanno offerto la loro vita per il Vangelo e la salvezza degli uomini partendo per le Indie.

D. - Lei ha parlato di una Chiesa che si apre alle esigenze di un nuovo mondo e di tanti religiosi che donarono la propria vita per il vangelo e la salvezza delle anime. Come non ricordare a tal proposito le tante figure di santi vissuti nel XVI secolo ….

R. - E’ propri così. La riforma della Chiesa e la nuova primavera missionaria hanno anche offerto alla Chiesa e al mondo la testimonianza più trasparente del Vangelo, quella della santità. I santi e le sante che appartengono al secolo di Trento sono numerosi e mostrano i diversi volti di ciò che è stato chiamato lo “spettacolo della santità”; essi sono riformatori e spesso fondatori e fondatrici, sono missionari, sono pastori, sono padri e madri del Popolo di Dio dal quale nascono e che voglio servire. Si pensi a Ignazio di Loyola e alla Compagnia di Gesù, ancora a Teresa d’Avila, riformatrice-fondatrice del Carmelo. Venendo alla penisola italica, Carlo Borromeo, che fu Penitenziere Maggiore e che per secoli è stato indicato come il modello del vescovo tridentino, il pastore per eccellenza. Ma vi fu anche a Filippo Neri, capace di riproporre la fede valorizzando antiche forme di comunione e di pietà caratteristiche della Roma cristiana dando loro forme nuove come la “Visita alle sette chiese”, pellegrinaggio che ancora si svolge qui in Urbe. Si pensi ai missionari oltreoceano e ai primi frutti della santità tra i cristiani nati nelle nuove terre: Francesco Saverio patrono delle missioni della Chiesa; Toribio Alfonso de Mogrovejo, chiamato il Borromeo delle Ande e patrono dell’episcopato latinoamericano; Rosa da Lima, patrona dell’America e delle Filippine.

D. - Il Simposio di quest’anno si svolge in prossimità dell’inizio dell’Anno Santo Straordinario della Misericordia. Quale contributo può dare per la preparazione dell’ormai imminente Giubileo?

R. - Credo innanzitutto che il Simposio metta bene in evidenza la centralità del Sacramento della Penitenza e la sua importanza per la Chiesa di ieri e di oggi. Il Santo Padre Francesco nella Bolla d’Indizione del Giubileo Straordinario della Misericordia si rivolge a tutti i cristiani del mondo ricordando loro la centralità della confessione, sacramento unico e indispensabile per vivere autenticamente l’anno giubilare: “Poniamo di nuovo al centro con convinzione il sacramento della Riconciliazione”, - scrive Papa Francesco -  perché permette di toccare con mano la grandezza della misericordia. Sarà per ogni penitente fonte di vera pace interiore» (Misericordiae Vultus, n. 17). Non si può oltrepassare la Porta Santa giubilare senza prima aver attraversato il confessionale, “porta santa dell’anima”, sorgente inesauribile di perdono e di pace. Accostandosi al sacramento della riconciliazione, il fedele compie ogni volta come un pellegrinaggio – segno peculiare dell’Anno Santo – dentro il cuore compassionevole del Padre, un cammino di ritorno alla Casa del Padre che ci aspetta sempre senza mai stancarsi, desideroso di venirci incontro, perdonarci e far festa per il ritorno alla vita della grazia, alla vita piena del vangelo (cfr. Lc 15, 21-25).  Così la celebrazione del sacramento diventa anche luogo nel quale si impara e si scopre la grandezza dell’amore di Dio che scuote il nostro cuore dall’orrore e dal peso del peccato, lo rende cosciente e lo indirizza sempre più alla gioia del vangelo. Il sacramento della riconciliazione spinge il penitente a cambiare la propria vita, a riordinarla, a “riformarla secondo il vangelo” così come già auspicato dalla Chiesa, Madre e Maestra di Misericordia, che fin dai tempi del Concilio Tridentino non ha mai cessato di invitare alla conversione, al ritorno a Dio ricco di misericordia, buono e grande nell’amore.

D. - Eccellenza, il Concilio di Trento ha contribuito notevolmente alla riflessione e allo sviluppo della dottrina sull’indulgenza. L’anno Giubilare della Misericordia sarà un’importante occasione per i fedeli di tutto il mondo per riscoprire la ricchezza spirituale delle indulgenze Ci può spiegare brevemente il significato, le condizioni e l’attualità dell’indulgenza?

R. - Come è noto, il Beato Paolo VI nella Costituzione Apostolica Indulgentiarum Doctrina afferma che l’indulgenza è la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa, che il fedele, debitamente disposto e a determinate condizioni, acquista per intervento della Chiesa, la quale, come ministra della redenzione, autoritativamente dispensa e applica il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei Santi.  L’indulgenza è parziale o plenaria secondo che libera in parte o in tutto dalla pena temporale dovuta per i peccati. Ogni fedele può lucrare per se stesso le indulgenze sia parziali che plenarie o applicarle ai defunti a modo di suffragio. E’ capace di lucrare indulgenze chi è battezzato, non scomunicato, in stato di grazia almeno al termine delle opere prescritte. Per ottenere l’indulgenza plenaria, oltre l’esclusione di qualsiasi affetto al peccato anche veniale, è necessario  eseguire l’opera indulgenziata e adempiere tre condizioni: confessione sacramentale, comunione eucaristica e preghiera secondo le intenzioni del Sommo Pontefice. Le tre condizioni possono essere adempite parecchi giorni prima o dopo di aver compiuto l’opera prescritta; tuttavia è conveniente che la comunione e la preghiera secondo le intenzioni del Sommo Pontefice siano fatte nello stesso giorno in cui si compie l’opera. Si adempie pienamente la condizione della preghiera secondo le intenzioni del Sommo Pontefice, recitando, secondo le sue intenzioni, un Padre Nostro ed un’Ave Maria; è lasciata tuttavia libertà ai singoli di recitare qualsiasi altra preghiera secondo la pietà e la devozione di ciascuno. L’indulgenza è la testimonianza concreta di quanto veramente l’amore di Dio è più grande di ogni peccato e che dove arriva la Divina Misericordia tutto rinasce, tutti si rinnova, tutto è risanato. La pienezza della misericordia del Padre, che ha mandato suo figlio Gesù morto e Risorto per noi offre ai credenti la possibilità di sperimentare la gioia del perdono portato fino alle sue estreme conseguenze come segno ultimo dell’amore del Padre nei confronti dei peccatori. In quest’amore nasce e si sviluppa la vita cristiana.








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