È un dovere combattere il “cancro” dello sfruttamento lavorativo e il “veleno” dell’illegalità”. È necessario stabilire “patti di prossimità” con le fasce della società più vulnerabili in maniera diversa: i poveri, gli immigrati, ma anche le famiglie. È il messaggio che Papa Francesco ha lasciato alla città di Prato, prima tappa della sua visita in Toscana. La sintesi del discorso del Papa nel servizio di Alessandro De Carolis:
“Benvenuto”. La parola più ovvia da stampare su uno striscione di saluto al Papa che arriva in visita. Meno ovvio è che in una città che appartiene alla regione culla della lingua italiana quel saluto sia scritto in ideogrammi cinesi.
L’ora dei “patti di prossimità”
Francesco comincia dalla “città-laboratorio” – tessile
ma anche di convivenza interetnica tra le maggiori in Italia – la sua marcia, anzi
il suo “pellegrinaggio” come tiene a precisare, di avvicinamento a Firenze. E la voce
del Papa è un tuono che soffia sui marmi bianco-verdi del Duomo di Santo Stefano,
sui 20 mila che si stringono in piazza per non perdere una parola, un mosaico di fattezze
e colori diversi – cinesi, certo, tantissimi, ma anche ucraini e polacchi, romeni
e pakistani, nigeriani e filippini:
“Vi ringrazio per gli sforzi costanti che la vostra comunità attua per integrare ciascuna persona, contrastando la cultura dell’indifferenza e dello scarto. In tempi segnati da incertezze e paure, sono lodevoli le vostre iniziative a sostegno dei più deboli e delle famiglie, che vi impegnate anche ad ‘adottare’. Mentre vi adoperate nella ricerca delle migliori possibilità concrete di inclusione, non scoraggiatevi di fronte alle difficoltà. Non rassegnatevi davanti a quelle che sembrano difficili situazioni di convivenza; siate sempre animati dal desiderio di stabilire dei veri e propri ‘patti di prossimità’”.
“Lavoro degno!”
La spinta migratoria è una forza incontenibile in
una città come Prato e imparare la convivenza è ineluttabile, imparare a lavorare
insieme è una conseguenza. Ma – scandisce il Papa amico degli emarginati – “la sacralità
di ogni essere umano richiede per ognuno rispetto, accoglienza e un lavoro degno”.
Esattamente l’opposto di quello indegno, inumano, che due anni fa – ricorda – uccise
due donne e cinque uomini, cinesi, dentro il capannone-lager della suburra pratese,
dove li incatenava la loro condizione di lavoratori schiavi:
“E’ una tragedia dello sfruttamento e delle condizioni inumane di vita! E questo non è lavoro degno! La vita di ogni comunità esige che si combattano fino in fondo il cancro della corruzione, il cancro dello sfruttamento umano e lavorativo e il veleno dell’illegalità. Dentro di noi e insieme agli altri, non stanchiamoci mai di lottare per la verità e la giustizia!”.
Piantare tende di speranza
Una lotta, insiste Francesco, per una società “più
giusta” e “più onesta”, perché viceversa – assicura – “non si può fondare nulla di
buono sulle trame della menzogna o sulla mancanza di trasparenza”. Ai giovani arriva
l’incoraggiamento del Papa “a non cedere mai al pessimismo e alla rassegnazione” e
alla Chiesa locale l’eterno invito a sentirsi “in uscita”, con una “rinnovata passione
missionaria” che spinge a “piantare tende di speranza, dove accogliere chi è ferito
e non attende più nulla dalla vita”:
“Ci è chiesto di uscire per avvicinarci agli uomini e alle donne del nostro tempo. Uscire, certo, vuol dire rischiare – uscire vuol dire rischiare - ma non c’è fede senza rischio. Una fede che pensa a sé stessa e sta chiusa in casa non è fedele all’invito del Signore, che chiama i suoi a prendere l’iniziativa e a coinvolgersi, senza paura”.
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