2015-11-09 14:11:00

Afghanistan: violenze dei talebani filo-Is. Oltre 50 morti


È di almeno 50 morti il bilancio dei violenti combattimenti scoppiati nel sud dell'Afghanistan fra opposte fazioni di talebani, una delle quali sarebbe passata sotto le bandiere del sedicente Stato Islamico. Inoltre, le autorità locali attribuiscono a jihadisti affiliati all’Is la decapitazione di sette civili rapiti circa un mese fa. Dunque il Califfato raccoglie consensi e adesioni anche in Afghanistan. Ma quali sono i reali rapporti tra il califfato di al-Baghdadi e alcuni gruppi talebani? Marco Guerra lo ha chiesto ad Andrea Carati ricercatore in Relazioni internazionali alla Statale di Milano:

R. – Ci sono delle voci, in parte attendibili. Nell’ultimo anno e mezzo due ci sono stati dei gruppi – in realtà, però, molto minoritari - di talebani che si sono avvicinati allo Stato Islamico: in realtà ne hanno - in qualche modo - utilizzato il nome, cavalcando un po’ il successo che lo Stato Islamico ha in Medio Oriente. Si tratta per la gran parte di talebani scontenti o di combattenti marginalizzati o scontenti della strategia dei talebani favorevole al negoziato per una pacificazione in Afghanistan, perché vogliono continuare a combattere contro le truppe internazionali. Allora sotto il nuovo brand dell’Is riescono a raccogliere qualche proselita, qualche combattente. Ma si tratta di gruppi molto minoritari che tendono ad utilizzare il brand dello Stato Islamico a scopo di proselitismo e in parte anche per raccogliere finanziamenti, ma che in realtà ha pochissimi legami con lo Stato Islamico quello vero, in Siria e in Iraq.

D. – Quali conseguenze potrebbe comportare una vera saldatura tra talebani afghani e i jihadisti dello Stato Islamico? Ci potrebbe essere una collaborazione tra queste due realtà?

R. – Nel medio periodo credo di no e questo per due ragioni. La prima è che la leadership storica dei talebani, che ha un rapporto molto dialettico con il Medio Oriente e con gli arabi, è di etnia pashtum; i talebani hanno un rapporto pregresso con gli arabi e il loro rapporto con al-Qaeda ha creato loro più danni che benefici. Quindi c’è una distanza. E poi anche perché la leadership dello Stato Islamico in Siria e in Iraq ha dato dei segnali circa quali siano le loro priorità strategiche e che sono nel medio periodo quelle di consolidare il controllo del territorio che per ora controllano e al limite pensare ad una espansione in Siria, nella zona di Aleppo. La priorità strategica per loro è il consolidamenti del territorio: non hanno in mente un’espansione e se hanno in mente un’espansione di più lungo periodo è principalmente concentrata in Medio Oriente. Quindi credo che l’Afghanistan sarebbe eventualmente un’ultima tappa di un processo  molto, molto lungo.

D. – Quindi è una sorta di affiliazione – mi passi il termine – in franchising come ha fatto Boko Haram: un’aderenza, quindi, più ideologica da parte di qualche gruppo…

R. – Sì, in realtà ancora molto più vacua rispetto a quella di Boko Haram, rispetto ad al-Qaeda e lo Stato Islamico… No, qui non siamo neanche al franchising, siamo alla affiliazione e a volte all’autoproclamazione di una affiliazione da parte di gruppi di talebani che – ripeto – sono però molto, molto minoritari e non rappresentato all’interno dei talebani un universo molto diffuso. A questo aggiungerei anche che lo Stato Islamico, nell’ambito dell’universo jihadista contemporaneo, si è differenziato rispetto ad un movimento come quello di al-Qaeda proprio perché ha in mente un Stato, ha in mente una amministrazione del territorio e quindi è poco propenso ad una affiliazione in franchising molto diffusa, ma in realtà anche molto fragile. E’ interessato, invece, a legami col territorio molto, molto più stretti.

D. – Dopo la morte del Mullah Omar, quindi, come si compone la galassia talebana?

R. – La galassia talebana è stato sempre molto frammentata ed è divisa in diversi gruppi - 3-4 gruppi più o meno dominanti e tutta una serie di gruppi molto, molto più piccoli e in parte anche meno influenti o che hanno un’influenza molto locale. Il quadro è rimasto, in realtà, frammentato: lo era anche quando il Mullah Omar era vivo… C’è la guida, quella che noi in Occidente in generale riteniamo un po’ la leadership dei talebani, che viene definita dagli esperti Quetta Shura o la Shura, la Commissione di leadership dei talebani storici, che risiede a Quetta, la città del Pakistan al confine con l’Afghanistan. Questa Quetta Shura cerca di affermare la propria leadership, la propria guida all’interno di un mondo molto frastagliato e molto differenziato al proprio interno e che noi chiamiamo dei talebani, ma che in realtà è – appunto – una galassia, un universo molto frammentario al proprio interno.

D. – Usa e Gran Bretagna hanno rinviato il ritiro delle truppe dall’Afghanistan: la situazione sul terreno, quindi, è tutt’altro che pacificata…

R. – Sì, anzi al contrario: la situazione – a partire dal 2014, dall’inizio del 2014 – è andata progressivamente peggiorando in Afghanistan. Il peggioramento delle condizioni di sicurezza è andato di pari passo con il ritiro internazionale, incominciato in realtà prima - a partire dalla fine del 2011 - e che si è concluso alla fine del 2014. Sono migliorate negli ultimi 3-4 anni in maniera abbastanza relativa nelle aree urbane, però sono andate progressivamente invece peggiorando nelle aree rurali. Questo ha dato vita ad un fenomeno che è quello dell’assedio delle città da parte dei talebani: diversi centri urbani – Kabul compresa – in realtà sono,  se non sotto un vero e proprio assedio, senz’altro circondati da una rete di combattenti talebani che tendono ed aspirano alla riconquista di grandi centri urbani.








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