2015-11-02 08:00:00

Libia: stallo nel processo di pace, continua lavoro Onu


In Libia tensioni con l’Italia, accusata dal governo di Tobruk, di avere violato le sue acque territoriali con tre “navi da guerra”, nei pressi della costa di Bengasi. Roma ha smentito ma in segno di ritorsione è stato profanato il cimitero italiano a Tripoli. Intanto continua la mediazione dell’Onu per ricomporre un governo di unità nazionale, che comprenda il parlamento di Tobruk riconosciuto a livello internazionale e quello islamista di Tripoli. Un processo di pace in fase di stallo, come riferisce Marco Di Liddo, analista del Centro Studi Internazionali ed autore del saggio “Le sabbie mobili della crisi libica”, al microfono di  Elvira Ragosta: 

R. – Purtroppo sì. Nonostante la grande volontà messa in campo dalle Nazioni Unite e dal mediatore Bernardino León, i risultati politici fino ad ora sono mancati, perché l’accordo proposto dal Palazzo di Vetro non soddisfa né Tripoli né Tobruk. E soprattutto non include nel meccanismo negoziale ed istituzionale del futuro del Paese i veri detentori del potere: i "signori della guerra", le milizie sul territorio, e tutti quegli attori che, pur non sedendo in Parlamento, hanno un potere ben più grande sul territorio libico.

D. – A proposito di questi attori, che tipo di controllo hanno sul territorio e quale influenza politica esercitano poi all’interno dei due parlamenti?

R. – Le milizie sono gli attori più influenti: controllano il territorio, hanno uomini armati e dispongono di discrete risorse economiche che derivano dai traffici illeciti. Sono diverse centinaia: le più importanti hanno una base solida nelle principali città libiche, e la loro agenda politica varia. Alcune intendono partecipare attivamente nella costruzione di quella che sarà la nuova Libia. Altre usufruiscono della situazione di anarchia per arricchirsi e comportarsi quasi come un’organizzazione criminosa sul territorio. E, indipendentemente dal futuro politico del Paese, queste cercheranno di imporre il loro peso nelle future negoziazioni, e di avere la loro fetta di torta.

D. – In questa galassia di milizie troviamo tra le tante Ansar al-Sharia, legata ad al-Qaeda nel Maghreb islamico, e il Califfato di Beida, legato al sedicente Stato Islamico: che ruolo hanno queste due formazioni nel processo politico che sta tentando di ricompattare la Libia?

R. – Per fortuna sia Tripoli che Tobruk sono abbastanza, e nettamente, lontane da Ansar al-Sharia e dal Califfato di Beida. Queste sono due organizzazioni marcatamente jihadiste, anti-occidentali, e i loro primi nemici, anziché essere gli occidentali, sono gli stessi musulmani che non condividono la loro visione. Purtroppo queste due organizzazioni hanno, come le altre milizie, il controllo del territorio e anzi: sono diventate organizzazioni parastatali, perché danno alla popolazione servizi, lavoro, sicurezza ed educazione.

D. – Il lavoro delle Nazioni Unite continua, quali possono essere i tempi secondo lei per l’arrivo ad un governo di unità nazionale, per la soluzione della crisi, e per ricompattare tutte le ali politiche e partitiche che governano la Libia di oggi?

R. – Il piano proposto ad oggi non soddisfa nessuno schieramento: bisogna, in primo luogo, cambiare i termini di quell’accordo, perché è troppo sbilanciato, al momento, verso il parlamento di Tobruk. Tripoli non accetterà mai di far parte di un esecutivo in cui i propri rappresentanti siano relegati al ruolo di dipendenti o abbiano un potere minore, o dei ruoli inferiori rispetto ai corrispettivi di Tobruk. In secondo luogo, bisognerà necessariamente parlare con i capi miliziani, perché questi ultimi governano il territorio, e se si fa un accordo senza di loro, c’è il rischio di avere un governo di unità nazionale "meraviglioso", ma che comanda soltanto nel palazzo dove fa le riunioni. La Libia, anche sotto Gheddafi, era un equilibrio molto fragile di interessi tribali e oggi sembra quasi che ce ne siamo dimenticati. Invece dobbiamo sempre ripartire dalla società e dalla base: se non si pensa ad un futuro in cui il centro politico del Paese saranno la tribù e le autorità locali, nessuno accetterà mai un sistema che non abbia come protagonista il potere locale, il potere decentralizzato. 








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