2015-10-30 07:56:00

Colloqui a Vienna con l'Iran per risolvere la crisi siriana


Passano per Vienna gli sforzi diplomatici sul futuro della Siria. Nella capitale austriaca sono giunti ieri sera i capi delle principali diplomazie internazionali, tra cui Russia, Usa, Arabia Saudita, Turchia, Egitto e - per la prima volta, su invito di Washington – Iran. Il servizio di Giancarlo La Vella:

La situazione siriana ha ormai una portata tale che tutti i protagonisti internazionali, compresa Teheran con la sua inedita partecipazione, vogliono dire e contraddire su una crisi che ha già provocato oltre 250 mila morti dal 2011. Un appello alla flessibilità a tutti i partecipanti è arrivato dal segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, che si è detto fiducioso per l'alto livello dei partecipanti ai colloqui di Vienna e ha ribadito che per la Siria non c'è una soluzione militare. Dunque, strada aperta alla diplomazia, che deve risolvere problemi di non poco conto: il ruolo del presidente Assad nella Siria di domani, l’aggiustamento dell’opzione militare di fronte alla guerra civile da una parte e l’avanzata del sedicente Stato islamico dall’altra. In questo clima, la Comunità di S. Egidio, attraverso il suo fondatore Andrea Riccardi, rilancia alla comunità internazionale l’appello “Save Aleppo” – “salvare Aleppo”. La storica città, ora agonizzante, – dice Riccardi – è teatro di violenze indicibili che non risparmiano nessuno, compresi i quartieri cristiani e i luoghi di culto.

Sulla novità della partecipazione iraniana al vertice sulla Siria, Giada Aquilino ha intervistato Stefano Torelli, ricercatore dell’Istituto per gli studi di politica internazionale e studioso di dinamiche mediorientali:

R. - L’Iran chiaramente è uno degli attori in causa, uno degli attori più coinvolti nel conflitto in Siria e quindi sembra abbastanza evidente che il coinvolgimento di Teheran sia indispensabile per cercare di risolvere il conflitto. Ciò da un punto di vista operativo. Da un punto di vista formale, è il primo incontro di questo tipo che si tiene dopo l’accordo nucleare raggiunto l’estate scorsa, in luglio, tra l’Iran e le cosiddette potenze del 5+1, cioè i 5 membri del Consiglio di Sicurezza dell’Onu più la Germania. Questo fatto ha aperto diplomaticamente la strada all’Iran per una partecipazione a un consesso internazionale.

D. – Come si potranno conciliare la linea dell’Iran sciita con quella dell’Arabia Saudita sunnita, le due grandi potenze dell’area?

R. – Questo è il grande interrogativo. Tutti ormai sono convinti del fatto che in realtà piuttosto che risolvere il conflitto a breve termine la vera sfida sia sul medio-lungo periodo, ‘aggiustando’ questa rivalità tra Arabia Saudita e Iran e facendo sì che gli interessi di queste due potenze non dico convergano, perché questo sembra abbastanza improbabile, ma arrivino a un punto comune, per cui si possa trovare un accordo. Ciò che sappiamo per certo è che l’Arabia Saudita vorrebbe una Siria, un domani, senza un’influenza dell’Iran nell’area, com’è adesso e come è stato fino ad oggi; dall’altro lato invece l’Iran ambisce ancora a mantenere un suo ruolo in Siria. Quindi una probabile soluzione potrebbe essere quella di trovare un terreno di dialogo per cui gli interessi delle due parti possano essere in parte chiaramente garantiti e, per far questo, occorre che sia l’Arabia Saudita, sia l’Iran cedano parte delle proprie ambizioni in nome di una possibile pacificazione dell’area.

D. – Una delle questioni è la leadership di Bashar al Assad a Damasco: quali sono le posizioni?

R.  – Erano abbastanza nette fino a qualche settimana fa. Da un lato, il fonte pro Assad, rappresentato soprattutto dalla Russia e dall’Iran; dall’altro lato il fronte arabo sunnita, quindi Arabia Saudita ma anche Turchia, e pure l’Occidente con Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e Italia, che vedeva come precondizione l’allontanamento di Assad. In questi ultimi giorni, sembra che l’Iran e la Russia abbiano fatto un po’ un passo indietro. Sarebbero pronti a trattare, a ritrattare questa posizione ma sempre purché ciò che rappresenta Assad, il suo entourage, il suo regime del momento, non venga del tutto allontanato. Quindi una possibile soluzione, che magari non piacerà a tutti, è quella di una transizione, in cui - se non Assad stesso - qualcuno vicino a lui possa garantire una sorta di passaggio verso un nuovo ordine.

D. – Gli Stati Uniti pensano all’invio di truppe sulla linea del fronte in Siria, per combattere il sedicente Stato Islamico. La Russia parla di violazione del diritto internazionale. Questo punto può essere di ostacolo a uno sforzo diplomatico unitario?

R. – Se gli Stati Uniti decidessero veramente di attuare una nuova strategia del genere, innanzitutto sarebbe un punto di rottura importante, una grande novità rispetto ad adesso. Le accuse della Russia suonano un po’ ‘propagandistiche’, nel senso che Mosca stessa sta intervenendo nel conflitto. Chiaramente la Russia si appella comunque al fatto che il proprio intervento sia stato richiesto esplicitamente dal governo siriano, mentre gli Stati Uniti interverrebbero contro la volontà di Damasco. La possibilità che l’intervento statunitense, qualora fosse poi veramente attuato, possa creare tensioni ulteriori tra Russia e Stati Uniti getta un’ombra su quello che potrà essere il conflitto. Non pensiamo neanche cosa potrebbe succedere se eventualmente si dovesse arrivare a uno scontro diretto tra forze statunitensi e russe.








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