2015-10-26 15:00:00

Amnesty contro matrimoni precoci: "Mai più spose bambine"


Lo sposalizio, simbolico, tra una bimba di 10 anni ed un uomo di 47, celebrato a Roma nei giorni sorsi è stato uno dei momenti della campagna informativa promossa da Amnesty International dal titolo “Mai più spose bambine”. L’iniziativa, che durerà fino al primo novembre prossimo, vuole contrastare le condizioni in cui 13 milioni e mezzo di ragazze ogni anno nel mondo sono costrette a sposarsi prima dei 18 anni con uomini molto più vecchi di loro, e quelle delle circa 37 mila bambine che hanno un’infanzia negata. Le stime delle Nazioni Unite, attorno alle quali prende forma la campagna, parlano di “giovani isolate, poiché tagliate fuori da famiglia, amicizie e da qualsiasi altra forma di sostegno, perdono la libertà e sono sottoposte a violenze e abusi”. Al microfono di Francesca Di Folco, il presidente di Amnesty International Italia, Antonio Marchesi, spiega l’importanza della campagna per arginare i matrimoni precoci e forzati:

R. – Sono dati drammatici, tanto che il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, per la prima volta ha sentito la necessità di adottare una Risoluzione sulla prevenzione e l’eliminazione di questo fenomeno dei matrimoni precoci e forzati. Si pensi che queste bambine sono non soltanto isolate e tagliate fuori dalla famiglia: sono private della loro infanzia ma poi, spesso, sono sottoposte a ogni forma di violenza e di abuso. A volte rimangono incinta subito dopo il matrimonio e gli effetti di una gravidanza sulla salute di una bambina di 9, 10, 11 anni possono essere estremamente problematici.

D. – “Mai più spose-bambine”: Amnesty ha lanciato questa campagna per sensibilizzare l’opinione pubblica e incrementare l’attenzione dei governi sui matrimoni precoci. Quali gli obiettivi specifici che intendete raggiungere?

R. – Con questa campagna noi vorremmo intervenire su quei Paesi – dallo Yemen all’Iran, all’Africa subsahariana, come nel Burkina Faso, ai Paesi dell’Asia meridionale in cui il fenomeno è più presente – per ottenere anche dagli stessi governi di questi Paesi modifiche normative che consentano di condurre con successo una battaglia. Questo è un fenomeno che dev’essere contrastato nel modo più efficace possibile: basti pensare che in Iran l’età legale per il matrimonio delle ragazze è di 13 anni e può essere anche abbassata con il permesso di un tribunale. In Yemen, ci sono bambine che sono date in sposa a un marito quando hanno ancora 8 o 9 anni. C’è poi il problema, anche, delle bambine rifugiate siriane, in questo periodo, in campi come quello di Zaatari in Giordania, dove anche qui vengono date in sposa molto, molto presto.

D. – E’ del 2 luglio 2015 l’adozione, da parte del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, della prima risoluzione sulla prevenzione e l’eliminazione dei matrimoni precoci. Perché questa pratica è e resta così tanto radicata?

R. – Resta radicata in alcuni Paesi del mondo. Si inserisce spesso in una cultura che affonda le sue radici nel passato, ma che nel nome dei diritti umani dovrebbe essere superata: una cultura fondata sulla discriminazione, spesso sull’arretratezza culturale… Non è solo, come avviene per altre violazioni dei diritti umani di cui si occupa Amnesty International, un problema di violazioni da parte dei governi: è un fenomeno sociale in molti Paesi che gli stessi governi devono essere incoraggiati ad affrontare.

D. – Volendo tracciare una mappa delle zone interessate dal fenomeno, quali sono i Paesi nei quali i matrimoni precoci avvengono con maggior frequenza?

R. – Secondo l’Unicef, il Bangladesh è il Paese del mondo con il tasso più alto di matrimoni di bambine al di sotto dei 15 anni. Il problema, però, riguarda ad esempio anche l’Afghanistan, dove il 57% delle donne intervistate qualche anno fa era stata data in sposa prima dei 16 anni. In Maghreb, in Nord Africa, il problema si inserisce in un contesto di violenza contro le donne che comprende anche altri fenomeni, come ad esempio quello dei matrimoni riparatori che, dal punto di vista legislativo, è stato superato in Marocco ma non ancora in Algeria; anche in Medio Oriente, in Yemen, in Iran, in Siria, in tutti questi Paesi, soprattutto nelle zone rurali.








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