2015-10-24 12:05:00

Haiti al voto presidenziale nel pieno della crisi umanitaria


Gli haitiani si preparano a scegliere il nuovo Presidente tra 54 candidati in lizza. Tra i favoriti Jude Celestin, ingegnere educato in Svizzera, Jovenel Moise, proprietario di un’azienda per l’export di banane e l’ex senatore Moise Jean Charles. Al nuovo Capo di Stato il compito di risollevare uno dei Paesi più poveri al mondo, messo in ginocchio dal sisma di magnitudo 7.0 del 2010 che uccise oltre 220 mila persone, ne lasciò senza casa un milione e mezzo e provocò un danno economico stimato al 120% del Pil. La comunità internazionale, che vuole evitare una replica delle violenze elettorali di agosto, ha dato al Paese oltre 30 milioni di dollari per organizzare il voto, mentre l’Organizzazione degli Stati Americani ha inviato 125 osservatori. In quale clima si svolge questo voto?Cecilia Seppia ha sentito Maria Chiara Roti, vicepresidente della Fondazione Francesca Rava che si occupa in prima linea degli aiuti ad Haiti, dove gestisce scuole, ospedali e programmi di formazione:

R. – Sicuramente la situazione di Haiti rimane tutt’oggi una situazione molto fragile, sia dal punto di vista sociale che politico, che geografico. Haiti è uno dei Paesi più poveri al mondo e  vanta i peggiori ranking nel mondo di speranza di vita alla nascita, mortalità infantile, aspettative di vita, disoccupazione… Immaginate che il 70% della popolazione è disoccupata e vive con meno di un dollaro al giorno, 85 mila persone vivono ancora nei campi profughi. E' una situazione disperata.

D. – Lei era ad Haiti a luglio quando si sono svolte le elezioni legislative. Ha potuto vedere con i suoi occhi il fermento che c’è nella popolazione e il desiderio anche di democrazia, di ricostruzione, ma anche purtroppo la violenza che ha segnato quella tornata e che si teme possa segnare anche questo voto presidenziale…

R. – Lì il dibattito politico si fa per strada. Immaginate queste strade polverosissime, piene di motorette e di giovani, che indossano T-shirt con la foto del candidato. Le elezioni sono spesso momenti di scontro, di nuova violenza che viene generata dallo scontento, ma soprattutto dalla disperazione per la gravissima povertà, per la mancanza di infrastrutture in cui tuttora versa il Paese. Sia lo spirito elettorale, il clima per le strade, il dibattito elettorale, il dibattito tra la gente è diverso dai nostri, anche lo scenario politico è molto diverso dal nostro: non esiste destra o sinistra, ma esistono numerosissimi candidati che concorrono tutti per le idee del popolo e di fatto per i propri interessi, ma non sono all'altezza.

D. – Quali sono le sfide che si apriranno per il nuovo Presidente?

R. – Sicuramente la più grande sfida di questo Paese è avere infrastrutture: è un Paese che si trova ad un’ora e mezzo da Miami, è un Paese che condivide un’isola con la Repubblica Dominicana, in cui oggi però si muore di fame e di sete! Io quando vado - vado a Cité  Soleil, negli slam più poveri, dove la nostra organizzazione opera - vedo bambini e intere famiglie che vivono ancora in baracche di lamiera e che non hanno accesso all’acqua. Quindi la grande sfida di questo Paese è la ricostruzione e la creazione di infrastrutture. E questo vuol dire acqua, vuol dire strade, vuol dire elettricità.

D. – Il Papa in un suo appello ha chiesto di non dimenticare Haiti. Sappiamo che la Comunità internazionale si è data molto da fare per questa tornata, ha anche stanziato oltre 30 milioni di dollari per organizzare il voto… Ma cos’altro può fare? Su cos’altro deve spingere?

R. – Sicuramente la presenza, l’interesse per questo Paese e un reale impiego di forze, ma non solo di controllo e verifica come già da anni accade, perché sappiamo che le Nazioni Unite, con Minustah, hanno una presenza da molti anni nel Paese di monitoraggio ed osservazione.  Maggiori interventi strutturali nel Paese potranno aiutare il Paese stesso, servono fondi.

D. – Altro problema che si troverà ad affrontare il nuovo Presidente è sicuramente quello dell’emigrazione, perché – negli ultimi anni in particolare – molti haitiani tentano di fuggire da Haiti per raggiungere la Repubblica Dominicana…

R. – In questo momento la Repubblica Dominicana, quindi il Paese confinante con Haiti, ha ulteriormente chiuso i rubinetti dei passaggi di frontiera. Quello che sta succedendo, in questo momento, è un ulteriore restrizione degli haitiani che già vivevano nella Repubblica Dominicana senza documenti. Questi haitiani vengono chiamati “palomas blancas” – “uccelli bianchi”: sono persone senza identità, che vivono nei “Bateyes”, che sono villaggi molto poveri, costruiti in legno, che si trovano nelle zone limitrofe alle coltivazioni di canna da zucchero, dove questi haitiani migranti vengono impiegati. Ecco, il governo della Repubblica Dominicana sta stringendo anche sulla migrazione e quindi su haitiani che sono già presenti nel loro Paese e che non hanno né identità né diritti. Serviranno accordi e leggi per impedire questo.








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