Il diritto a confiscare e gestire beni di proprietà di persone che hanno lasciato le proprie case – costrette a emigrare a causa del conflitto in corso – diritto autoproclamato dalle autorità locali di Hassaké, in Siria, è stato definito “contrario ai diritti umani” da parte dell’arcivescovo Jacques Behnan Hondo, a capo dell’arcidiocesi siro-cattolica di Hassaké-Nisibi, tra i firmatari di un comunicato sottoscritto dalle comunità cristiane locali. Secondo questo documento, nell'area sarebbero stati creati organismi incaricati di gestire e controllare – di fatto, disporre – di tali proprietà.
L'accusa dei cristiani: "Misura intimidatoria"
Secondo quanto riportato dall’agenzia Fides, infatti,
i capi delle chiese e delle organizzazioni cristiane presenti in questa provincia
nordorientale del martoriato Paese, si oppongono con forza al cosiddetto progetto
di “tutela e gestione” delle proprietà delle persone emigrate: “Una misura intimidatoria
sia per chi è stato costretto ad allontanarsi, e che dopo aver subito l’esproprio
forzato dei propri beni vedrebbe di fatto compromesso il proprio diritto al ritorno
– scrivono – sia per chi rimane e viene in questo modo indotto a pensare che sia meglio
vendere i propri beni prima di vederseli espropriati in caso di temporanea assenza”.
Stando ai dati, nella zona più del 30% delle terre e dei beni immobiliari presenti
sarebbero di proprietà dei cristiani. (R.B.)
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