2015-10-19 13:52:00

Kerry: porre fine a violenza "senza senso" in Medio Oriente


Porre fine alla spirale di violenza “senza senso” che sta insanguinando Israele, la Cisgiordania e Gaza da almeno due settimane. Questa la richiesta a israeliani e palestinesi del segretario di Stato Usa John Kerry, giunto a Madrid. Il capo della diplomazia statunitense ha in programma nei prossimi giorni incontri con il presidente palestinese Mahmoud Abbas e il premier israeliano Benyamin Netanyahu. L’obiettivo è compiere passi che possano aiutare a ridurre le tensioni, facendo chiarezza - ha aggiunto Kerry - “sullo status dell'area intorno alla moschea di al-Aqsa”. Esclusa da Kerry, inoltre, una presenza internazionale sulla Spianata delle Moschee, così come proposto dalla Francia: al riguardo, stamani il Ministero degli esteri israeliano ha convocato l'ambasciatore francese. Sul terreno, intanto, Netanyahu ha ordinato lo stop ad altre barriere rimuovibili a Gerusalemme, come quella eretta tra il rione palestinese di Jabal Mukkaber e quello ebraico di Armon Hanatziv per impedire il lancio di sassi e bombe incendiarie. È salito inoltre a tre il numero delle vittime dell’ultimo attentato alla stazione degli autobus di Beersheva, con la morte anche di un eritreo che, scambiato per assalitore, era stato prima colpito dalla polizia e poi linciato dalla folla presente. Sulle ultime dichiarazioni di Kerry e sull’aggravarsi della situazione nella regione, Giada Aquilino ha intervistato Ugo Tramballi, editorialista ed analista di questioni mediorientali:

R. – Eventualmente, gli americani possono tentare di esprimere una tattica, ma non certo una strategia a lungo termine, non solo perché tra un anno ci saranno nuove elezioni – è già cominciata la campagna elettorale – ma anche perché tutta l’iniziativa di pace fatta da John Kerry è stata appunto una iniziativa soltanto sua, cioè del segretario di Stato. La conseguenza è quello che stiamo vedendo appunto in Cisgiordania e a Gerusalemme.

D. – I contatti di Kerry con israeliani e palestinesi, per un vertice che si era detto a tre, a che punto sono? Netanyahu ha anticipato una possibile cancellazione dell’incontro…

R. – Comunque, non sarebbe stato un incontro a tre, anche se era logico pensare che questo fosse non certo la soluzione, ma quanto meno un tentativo per fermare l’escalation di ciò che sta accadendo. Sarebbe comunque stato un incontro separato. E adesso – si sa, ma non è certo – che Kerry giovedì o venerdì incontrerà Netanyahu in Germania. Dopodiché, volerà in Giordania, ad Amman, dove incontrerà Abu Mazen e il re Abdallah, che comunque è storicamente una parte in causa della questione. Però, sembra che Netanyahu non voglia neanche incontrare Kerry in Germania, quando invece sarebbe proprio solo il dialogo il primo tentativo serio per cercare di fermare la violenza. Ed è possibile fermarla, perché non è una Intifada – e per “Intifada” intendo una vera rivolta nazionale, popolare, come ad un certo punto furono sia la prima sia la seconda – ma è ancora qualcosa di incomprensibile: è una rivolta giovanile che non è seguita non solo dall’Autorità nazionale palestinese, ma persino da Hamas. Quindi, c’è ancora il tempo per una soluzione ma attraverso quel dialogo politico che Netanyahu e il suo governo di destra, destra-centro, non intende aprire.

D. – Le ultime notizie, però, parlano di una cellula del movimento islamico palestinese di Hamas ad Hebron che avrebbe detto ai suoi miliziani di sferrare attentati kamikaze nella zona di Hebron e di Nablus, in Cisgiordania…

R. – Questo è sempre possibile, anche perché, diversamente ad esempio da Hezbollah in Libano, il movimento sciita libanese – che è un’organizzazione monolitica, ben strutturata, a struttura piramidale con un vertice, Hamas – ha innanzitutto un’ala politica da una parte e un’ala militare, molto più interventista, dall’altra. E inoltre stanno crescendo dentro casa elementi di fondamentalismo religioso - un islam militarista - che si richiama sempre di più, oltre ad Al Qaeda, anche all’Is.

D. – Le polemiche riguardo alle barriere rimovibili a Gerusalemme, come quella appena eretta tra un quartiere arabo e uno ebraico: Netanyahu ha ordinato lo stop ad altri muri simili. Che decisione è questa?

R. – Con questi muri temporanei, la gente cerca in qualche modo di difendersi nell’attesa che il governo prenda la decisione di riavviare il dialogo con i palestinesi: ma non solo un dialogo per fermare questa rivolta, bensì un dialogo di pace, definitivo, che quanto meno offra una prospettiva ai giovani. Il fatto che Netanyahu sia scettico sul voler moltiplicare queste barriere è una questione politica: nel momento in cui si eleva un muro, si riconosce che dall’altra parte non c’è la “tua” gente e sarebbe come implicitamente riconoscere ciò che tutti noi sappiamo – che chiunque sia mai stato a Gerusalemme sa – e cioè che questa è una città divisa da sempre e che esiste una Gerusalemme est araba e una ovest ebraica.








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