2015-10-18 09:00:00

Il vescovo di Concepción: chiarire rapporto tra misericordia e verità


Molti padri sinodali evidenziano l’esigenza di mostrare ai divorziati risposati civilmente così come ad altre persone che vivono in situazioni non regolari, che essi sono chiamati a vivere pienamente la vita nella Chiesa pur non potendo accedere al Sacramento dell’Eucarestia. Un esempio positivo di integrazione nella comunità ecclesiale è quello che racconta al microfono di Paolo Ondarza, il vescovo paraguayano di Concepción, mons. Miguel Ángel Cabello Almada:

R. – Qui, in questo momento, si sta pensando alle diverse realtà delle famiglie e soprattutto di quelle che si trovano lontane dalla Chiesa, che sono fragili, separate… Nella nostra esperienza queste famiglie sono integrate nella nostra comunità cristiana.

D. – Lei sta parlando in particolare dei divorziati risposati civilmente, che nella vostra realtà sono ben integrati nella comunità ecclesiale…

R. – Sono ben integrati! Non ci poniamo queste domande, perché sono parte della Chiesa, alcune sono conviventi, molti sono monoparentali… Molte volte agiscono anche meglio e di più nella comunità cristiana.

D. – E non chiedono l’accesso ai Sacramenti, all’Eucaristia?

R. – Sì, lo chiedono. Ma si rendono anche conto della situazione che hanno: non ne fanno una pretesa. Si sa, teologicamente parlando, che un cammino di salvezza consiste anche nell’aiutare i poveri, compiere la carità: questo purifica.

D. – Quindi non viene vissuto come una mancanza o un handicap il fatto di non accedere ai Sacramenti…

R. – Esatto, esatto! Loro sentono questa mancanza dell’Eucaristia, perché i loro figli domandano perché non si avvicinano anche all’Eucaristia… Ma sono molti di più quelli che sono coscienti del fatto che trovandosi in questa situazione, fin quando non viene risolta la situazione, non possono fare la Comunione.

D. – Ritiene nella sua esperienza, che possa essere addirittura una testimonianza quella di un divorziato che non riceve il Sacramento della Comunione?

R. – Può essere, perché nonostante la loro fragilità cercano di vivere il loro impegno nella società, nella Chiesa attraverso la loro presenza, il loro lavoro, il loro contributo. Molti di questi sono bravissimi operatori pastorali.

D. – Ben integrati. Quindi possono anche offrire un esempio alle nostre Chiese in Europa?

R. – Non so se possono offrirlo, ma da noi è veramente una cosa meravigliosa: nonostante la loro situazione di fragilità, molte volte agiscono meglio nella vita parrocchiale e danno un contributo anche più efficace rispetto ad altri…

D. – Quale altra considerazione si sente di fare in vista delle conclusioni di questo Sinodo?

R. – Credo si abbia bisogno di un approfondimento sui temi antropologici e filosofici… In questo Sinodo non lo abbiamo ancora avuto: non ho sentito questo approfondimento antropologico e teologico su quali siano i criteri e i principi. E poi fare anche un chiarimento in senso biblico: abbiamo bisogno di criteri e principi chiari. E poi anche confrontarci con la realtà e la situazione di oggi alla luce della morale cattolica.

D. – Quindi sta chiedendo una maggiore attenzione alla dottrina – potremmo dire – in questo momento, perché poi si possa preparare una prassi ben strutturata?

R. – Sì, esattamente: un approfondimento della dottrina, perché c’è chi vede una antitesi fra misericordia e verità, la verità cristiana, la verità evangelica… Questo desiderio di misericordia: è una richiesta del Signore, ma nella pratica come si fa? Questa è la domanda.








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