2015-10-13 11:07:00

Fondazione Di Liegro, la solidarietà allevia la disabilità


Il disagio mentale in Italia è ancora visto come un tabù e sfocia spesso nell’emarginazione, nell’isolamento sociale e nell’assenza di strutture sociosanitarie dedicate, con relativa carenza di percorsi alternativi di inserimento sociale e lavorativo per le vittime colpite da questo fenomeno. Esistono però isole felici come la Fondazione "Don Luigi di Liegro", che aiuta le famiglie concretamente. Federica Baioni ha ascoltato la storia di Marco di Bartolomeo, genitore e volontario della Fondazione Don Luigi di Liegro, del quale ieri si è ricordato il 18.no anniversario della morte:

R. – La nostra è la storia di una famiglia, una famiglia felice, che improvvisamente, il sorgere di questa malattia mentale ha messo a durissima prova, turbando la nostra quiete e la nostra vita.

D. – Cosa ha trovato di essenziale e di utile nell’aiuto dato dalla Fondazione di Liegro a lei e alla sua famiglia?

R. – Sicuramente, la possibilità di capire un pochino meglio che cosa ci stava capitando. La cosa davvero straordinaria è stata la possibilità di frequentare un corso di formazione in rete per volontari e famiglie sulla salute mentale. Io ho conosciuto la Fondazione attraverso questo corso. La Regione Lazio aveva pubblicato qualcosa al riguardo, allora ho preso contatti con la Fondazione e ho partecipato al loro corso di formazione. E grazie al corso è stato possibile avere molte risposte: si è fatto luce sul problema della nostra famiglia, della malattia del nostro ragazzo, e abbiamo conosciuto un pochino meglio qual era lo stato dei lavori in Italia. E questo è veramente in una situazione di disperazione, tant’è che una famiglia può trovare giovamento collegandosi a strutture di volontari – e ce ne sono tante. La Fondazione internazionale Don Luigi Liegro è in prima linea e tra le più qualificate per aiutare una famiglia che si trova di fronte a problemi come i miei. E lì è nata una rete di contatti, di relazioni umane, che ha fatto una bella differenza e ha consentito di ridurre il disagio, la grande sofferenza e il dolore con cui si deve fare i conti tutti i giorni.

D. – Soprattutto, questa vicinanza, questo raccordo umano – insomma, questo sentire ed essere vicini in prima persona come padre – lei li ha avvertiti ogni giorno. Ci vuole raccontare un aneddoto? Come trascorrevate il tempo, lei e suo figlio?

R. – Abbiamo cercato di risolvere o di attenuare il disagio andando d’istinto. L’istinto di padre è stato quello di dedicarmi ventiquattr'ore al giorno a questo ragazzo e di stabilire con lui un rapporto di amore incondizionato. Questo, senz’altro, ha dato da subito i suoi primi risultati, perché il ragazzo ha cominciato a stare meglio. Abbiamo condiviso insieme la passione per la corsa.

D. – Se dovesse consigliare ad un’altra coppia di genitori con lo stesso problema il suo percorso, lo farebbe?

R. – Volentieri, assolutamente sì! E poi è quello che la stessa Fondazione fa con tutte quelle famiglie che si trovano nelle mie stesse condizioni. Quando una famiglia comincia a frequentare la Fondazione, scatta uno stato di speranza condivisa. E devo dire che questo fa una grande differenza, in quanto si riprende una vita normale e non si è più segregati e lontani dalla società: si ha il senso di appartenenza ad una comunità. La stessa Fondazione organizza molti corsi creativi per questi ragazzi, ma anche per i familiari. Quindi è un punto di incontro importante.








All the contents on this site are copyrighted ©.