2015-10-06 15:25:00

Povertà estrema in calo 10%. Riccardo Moro: non è proprio così


Per la prima volta, entro la fine di quest’anno, la povertà estrema dovrebbe interessare meno del 10% della popolazione mondiale. E’ quanto previsto della Banca Mondiale nell’ultimo Rapporto sulla povertà globale, secondo cui il numero di persone che vivono in condizioni di totale indigenza scenderà a 702 milioni, contro i 902 che ancora si contavano nel 2012. La somma giornaliera di cui bisogna disporre per non essere considerati letteralmente “indigenti” è di 1,90 dollari. In precedenza, se ne calcolavano 1,25, ma la cifra è stata adattata, tenendo conto dell'inflazione. Maria Caterina Bombarda ha intervistato l’economista Riccardo Moro:

R. – A voler essere un po’ cattivi, potremmo dire che questa riduzione è falsa, perché viene dal fatto che abbiamo cambiato, da qualche tempo, i dati per calcolare la forma con cui si calcola la povertà estrema: sino agli anni Novanta erano un dollaro al giorno, adesso abbiamo usato lo standard di un 1,90 dollari e dunque le persone che hanno meno di un dollaro e 90 diventano meno numerose… Però, se guardiamo a quanto queste persone riescono a comperare, forse con l’inflazione che c’è stata in questi anni, quel dollaro e 90 non siamo così sicuri che serva a compare le stesse cose che si compravano prima con un dollaro. Detto questo, ci sono comunque dei processi di miglioramento all’interno delle economie nazionali e internazionali.

D. – Facendo un bilancio della situazione, quali sono i Paesi in cui la povertà estrema sembra essere diminuita e in quali invece continuano a mantenere livelli di indigenza molto alti?

R. – Quello che possiamo dire che quella che chiamiamo povertà estrema, cioè la fascia che fa veramente più difficoltà, è concentrata in Africa e in India. In termini percentuali, la povertà più intensa è più fortemente concentrata in Africa, mentre in termini di numeri di popolazione abbiamo dei numeri molto consistenti in Asia, perché lì la popolazione è in termini assoluti più grande. Non va in questo quadro dimenticato il subcontinente latinoamericano, in cui abbiamo Paesi che globalmente hanno mostrato dei "trend" di crescita molto alti negli ultimi anni, ma all’interno dei quali – pensiamo la Brasile, ma sicuramente anche al Perù, alla Bolivia, alla stessa Colombia e all’Ecuador – hanno delle forti concentrazioni, delle forti sacche di povertà, interna particolarmente consistente.

D. – Sradicare la povertà estrema e la fame è il primo dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda Onu del 2030. Risulta un obiettivo troppo ambizioso di questi tempi?

R. – Certamente non troppo ambizioso… E’ ovviamente difficile, sia perché bisogna trovare degli strumenti efficaci per fare questo. Sia perché comportano, in qualche modo, un trasferimento di risorse verso le zone dove la povertà è più forte, sia perché comporta anche il cambio di mentalità nei Paesi che sono più favoriti, ma anche tra quelle comunità di persone dove la vita è più vulnerabile. Detto questo, il primo obiettivo degli obiettivi di sviluppo del Millennio non è stato raggiunto in pieno, però sicuramente c’è stato un miglioramento, forse aiutato un poco anche da dati che aiutano a leggere il mondo con un po’ più di ottimismo. Quello che è vero che abbiamo appena terminato una settimana a New York per lanciare gli obiettivi di sviluppo sostenibili alle Nazioni Unite, con – io credo – una importante iniezione di fiducia.

D. – La povertà estrema è in calo, ma resta attuale il problema della fame. Entro il 2050, saremo due miliardi in più: si riuscirà a mantenere l’obiettivo "zero fame" nel mondo?

R. – Quello che succede nel mercato dei beni alimentari è che, essendo i beni alimentari in una condizione in cui i prezzi sono fatti dai mercati finanziari internazionali, spesso diventano volatili a causa della volatilità delle imposte. Allora, in un contesto che sembra complicato, abbiamo bisogno di una "governance" globale, in cui cerchiamo di capire come gestiamo il commercio internazionale, in cui regoliamo il mercato internazionale finanziario e che – con queste equilibri – permetta di far arrivare flussi finanziari verso l’agricoltura, per arrivare a sanare in modo sostenibile i 9 miliardi di persone del 2050 e di mantenere una adeguata tutela dell’ambiente con coltivazioni sostenibili. E’ una sfida a cui è possibile rispondere, ma occorre sia messa in atto con scelte che vanno rinnovate tutti i giorni dai governi, ma anche dagli operatori del settore privato, dagli imprenditori e dai singoli cittadini in ogni loro scelta di consumo.








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