2015-10-05 13:50:00

Scontri in Cisgiordania: ucciso un palestinese


Un palestinese di 18 anni è stato ucciso e 4 sono stati feriti, questa notte in scontri con l'esercito israeliano vicino alla città di Tulkarem, nel Nord della Cisgiordania. La tensione è molto alta a Gerusalemme e nei Territori Palestinesi: nelle ultime 48 ore c’è stata anche l’uccisione a coltellate di due israeliani e il ferimento di decine di altri palestinesi. E c’è poi la decisione del governo di Tel Aviv di impedire l'accesso dei palestinesi alla Città Vecchia per due giorni. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu, che ha convocato d'urgenza i vertici della sicurezza appena rientrato da New York, dove ha parlato all'assemblea generale dell'Onu, ha ordinato un giro di vite per "combattere sino alla morte il terrore palestinese". Fausta Speranza ha intervistato Claudio Lo Jacono, direttore della rivista "Oriente moderno":

R. – E’ difficile vedere, mentre si stanno svolgendo questi fatti, se si tratta di qualcosa di strutturalmente cambiato oppure se - come si può anche immaginare – si tratti di una delle solite crisi che si affacciano in Palestina e Israele, ricorrendo quasi regolarmente. Questo perché da tempo, effettivamente, c’è stato un periodo di calma… Ma io direi non tanto di calma, quanto di non ostilità, a partire dall’attacco contro Gaza di Israele. E questa non ostilità è stata però accompagnata da una incapacità di avviare dei negoziati seri, che potessero portare non soltanto a una tregua - che è quella che già ora ci piacerebbe vedere sottoscrivere - ma addirittura a dei colloqui di pace. Tutto questo è totalmente fuori dalla realtà. Oggi come oggi, con i governi al potere delle destre nazionaliste religiose in Israele, non c’è una reale volontà di arrivare a una pace giusta ed equilibrata che possa quindi durare nel tempo. C’è la volontà di stravincere da parte del più forte, che è Israele indubbiamente sotto il profilo dell’opinione pubblica internazionale e naturalmente anche sotto il profilo - diciamo - delle armi e delle tecnologie, che sono incomparabili fra i palestinesi, che sparano dei razzi che non hanno alcun sistema di guida e per cui vanno quasi tutto fuori bersaglio, e i sistemi antimissile e i sistemi offensivi di Israele, che sono di avanzatissima generazione.

D. – Professore, sulla sfondo c’è la richiesta da parte palestinese di un riconoscimento diverso all’Onu: in che modo influisce questo?

R. – Naturalmente questo influisce a livello psicologico. Quasi tutti gli Stati che partecipano come membri all’Onu oramai sono favorevoli a riconoscere la Palestina come Stato a pieno diritto, anche se evidentemente le manca la sovranità, che è sottoposta a fortissimi vincoli da parte della autorità occupante che è Israele. Israele vuole arrivare ad un trattato di pace completo e definitivo, ma a condizioni che difficilmente possono essere accettate dai palestinesi, perché si chiede una totale adesione ai piani strategici dello Stato ebraico. Israele ha diritto a una pace, ha diritto a dei suoi confini, ha diritto alla sicurezza, ma la sua visione della sicurezza è diventata ossessiva. Se noi guardiamo il numero delle vittime - perché di guerra si tratta, anche se è una guerra "a basso voltaggio" - vediamo che ci sono delle cifre sconvolgentemente squilibrate. Dunque la volontà di arrivare a una pace presuppone che succeda, dalla parte di ognuno dei due contraenti, un qualche cosa per arrivare ad un compromesso accettabile per gli uni e per gli altri. Naturalmente questo deve però essere guidato da una visione pragmatica dei fatti e non ideologica. Mi sembra che, sia da parte dei palestinesi, – almeno di una parte dei palestinesi, quella che si rifà ad Hamas, intendo dire – sia da parte di Israele, invece, ci siano dei presupposti e dei pregiudizi ideologici talmente forti che renderanno impossibile nel breve tempo una trattativa di pace seria.








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