2015-10-05 16:43:00

Nobel a tre scienziati che hanno combattuto le malattie dei poveri


Sono due uomini e una donna i vincitori del Nobel per la Medicina 2015: l’irlandese William C. Campbell, il giapponese Satoshi Omura e la cinese Youyou Tu. I primi due sono stati premiati per le loro ricerche contro i nematodi, parassiti responsabili di diverse infezioni; la dottoressa Tu per aver scoperto nel 1972 una nuova terapia contro la malaria, l’Artemisinina, oggi il farmaco antimalarico più usato al mondo. Alessandro Guarasci ha sentito Roberto Cauda, direttore dell’Istituto di Clinica delle Malattie Infettive del Policlinico Gemelli:

 

R. – Sicuramente è un segno importante, perché i Nobel conferiti a questi tre ricercatori premiano la ricerca nei confronti degli ultimi, quelli che sono i poveri, perché in fondo è stato dato un riconoscimento a quanti hanno studiato quelle malattie come la Malaria, la Cecità fluviale e la Filariasi che pur essendo estremamente diffuse nel mondo, sono ancora a panaggio dei Paesi a risorse limitate. Quindi credo che sia stato un bellissimo esempio quello di aver premiato questo servizio nei confronti degli ultimi e dei più poveri.

D. – A livello mondiale, c’è sufficiente ricerca per combattere queste malattie, oppure, sia la ricerca privata sia quella pubblica in qualche modo sotto valutano queste patologie?

R. – Mi riferisco soprattutto allo studio sulla malaria e alla disponibilità dell’ Artemisinina insieme ad un anti-malarico in quella che si chiama fixed dose, dose fissa antimalarica. È stato sicuramente un grande passo in avanti. Ma per rispondere alla sua domanda, sicuramente no, ci sarebbe ancora necessità di implementare una ricerca soprattutto verso quelle malattie che pur colpendo milioni di persone, ancora oggi sono in qualche modo orfane della terapia. Faccio un esempio su tutti: lei ricorderà, l’anno scorso, l’Ebola e la drammaticità connessa a questa. L’Ebola è una di quelle malattie che, scoperta nel 1976, ad oggi non ha ancora trovato un’adeguata terapia. Questo perché probabilmente si sarebbe dovuto investire di più per cercare di trovare soluzioni anche per malattie che colpiscono quelli che sono distanti da noi.








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