2015-09-29 13:07:00

Obama-Putin all'Onu: lotta comune a Is, disaccordo su Assad


Incontro bilaterale sulla lotta al sedicente Stato islamico, ieri, a margine dell’Assemblea generale dell’Onu a New York, tra il presidente statunitense, Barak Obama, e quello russo, Vladimir Putin. Si apre l’ipotesi di una partecipazione di Mosca ai raid internazionali sulla Siria, ma resta il disaccordo tra i due sulla funzione di Bashar al Assad, che Putin vorrebbe nella transizione politica siriana, ma che Obama considera un tiranno che ha massacrato decine di migliaia di civili. Sul significato diplomatico e geopolitico di questo incontro, Elvira Ragosta ha intervistato Fulvio Scaglione, direttore di Famiglia Cristiana web:

R. – E’ stato un incontro-scontro, perché la Russia e gli Stati Uniti hanno interessi locali specifici, ma anche generali geopolitici contrastanti. Certamente, quello che è successo in questi anni è che gli Stati Uniti hanno lavorato per destabilizzare il Medio Oriente o, come dicono loro, per cambiarlo, diffondendo la democrazia, mentre la Russia ha sempre lavorato per stabilizzarlo, oppure, se vogliamo dirlo negativamente, per proteggere dei regimi che certamente non sono, per usare un eufemismo, l’ideale. Quindi, questo naturalmente agevola il lavoro di Putin.

D. – Su Bashar al-Assad c’è un grande punto di rottura tra i due. Non c’è sicuramente accordo su quella che dovrebbe essere la transizione politica siriana...

R. – Bashar al-Assad è un dittatore, è il primo responsabile del tracollo del suo Paese. L’alternativa, però, è Bashar al-Assad o l’Is. Non c’è altro. Tutti i tentativi più o meno veri, reali, concreti degli americani e dei sauditi di creare una alternativa moderata all’Is sono falliti. L’idea russa è: intanto eliminiamo l’Is e ci teniamo Assad, il cui esercito sul campo è il primo e vero baluardo alla diffusione dell’Is, e poi se ne parla. Gli americani non lo vogliono, perché in realtà gli americani con i sauditi stanno gestendo la guerra all’Is non per eliminare più in fretta possibile l’Is, ma per dare all’Isis il tempo di far fuori Assad e poi eventualmente essere eliminato. 

D. – Si è parlato di questo bilaterale come di una sorta di prova generale di nuove manovre diplomatiche, ma cosa può cambiare sul terreno della geopolitica?

R. – Può cambiare qualcosa sul piano della geopolitica globale, perché è chiaro che tra Russia e Stati Uniti c’è un continuo "trade off", una politica di scambio, per cui la Russia che è stata messa in forte crisi con il rivolgimento politico - anche questo in qualche modo accompagnato, se non pilotato dagli Stati Uniti - in Ucraina sta cercando di rispondere "conquistando" terreno in Medio Oriente. E’ un continuo bilanciamento, che naturalmente vede la Russia più in difficoltà, perché è un Paese meno potente, ma che offre comunque al Cremlino delle leve per farsi valere. E, in Medio Oriente, l’asse con i Paesi della Mezza Luna fertile sciita è un buon punto di forza per la Russia.

D. – Un punto di incontro potrebbe essere l’Iran per gli Stati Uniti e per la Russia?

R. – Che l’Iran possa giocare un ruolo regionale decisivo non saprei dirlo. Dipende dall’evoluzione politica anche iraniana, perché l’Iran ha le sue colpe nell’isolamento internazionale in cui è precipitato. Certamente, l’accordo sul nucleare lo ha reimmesso nel gioco politico e l’Iran è sicuramente un interlocutore importante.

D. – Da un lato, questo previsto rafforzamento della coalizione internazionale, con il possibile intervento anche della Russia. Dall’altro, la creazione di questo gruppo di contatto, di cui dovrebbero far parte Russia, Stati Uniti, Siria, Iran, Arabia Saudita, Turchia ed Egitto. Quale sarà il ruolo allora di questo gruppo, ma soprattutto qual è il ruolo dell’Europa se c’è, in questa fase di pacificazione dell’area…   

R. – Il ruolo del gruppo di contatto è tutto da decidere. La parte interessante sarà probabilmente l’atteggiamento di tre Paesi che pur, più o meno, fedeli a un’alleanza storica con gli Stati Uniti, negli ultimi tempi hanno mostrato più di un malumore e più di una velleità di mettersi in proprio, che sono: l’Arabia Saudita, per la questione del petrolio, per la questione dell’Iran la Turchia, che ha sempre l’incubo Kurdistan, e l’Egitto, dove al-Sisi non ha per niente gradito la benevolenza con cui l’amministrazione americana ha guardato nel recente passato ai Fratelli Musulmani. Ecco, questi tre Paesi, con i loro mal di pancia, possono determinare e spostare l’asse del lavoro di questo gruppo di contatto in una direzione piuttosto che in un’altra. Quanto all’Europa, lo sappiamo tutti, soffre di una impotenza politica a livello internazionale ormai clamorosamente accertata. Sarebbe ora che si desse una svegliata e sarebbe ora che soprattutto cercasse di uscire da questa monotona timidezza nei confronti della politica americana, che come ben vediamo in Medio Oriente e anche in Ucraina, bada all’interesse nazionale e non tanto alle alleanze internazionali.








All the contents on this site are copyrighted ©.