2015-09-20 22:24:00

Papa a sacerdoti e religiosi: non abbiate paura di povertà e misericordia


Dopo la visita al Palazzo presidenziale il Papa si è recato per un breve saluto nella Chiesa del Sacro Cuore di Gesù, retta dai Gesuiti. Poi si è trasferito nella Cattedrale dell’Avana per la preghiera dei Vespri con i sacerdoti, i consacrati e i seminaristi. La Cattedrale dell'Immacolata Concezione risale al 1700: bellissima la facciata barocca con i due campanili ai lati, opera dell'architetto italiano Borromini.

Papa Francesco è rimasto molto colpito dalle parole del cardinale Ortega che ha parlato della povertà della Chiesa cubana e di una religiosa che ha raccontato la sua esperienza tra i malati fisici e mentali. Il Papa ha parlato interamente a braccio, prendendo spunto da queste due testimonianze e ha consegnato l'omelia preparata.

Povertà – ha detto - è una parola scomoda, che va controcorrente - ha detto - lo spirito mondano non la conosce, non la vuole, la nasconde, non per pudore, ma per disprezzo. Lo spirito del mondo non ama il cammino del Figlio di Dio che si abbassato, si è fatto povero, si è umiliato, per essere uno di noi. Il giovane ricco del vangelo osservava tutti i comandamenti ma ha avuto paura della povertà e se ne è andato triste.

È necessario – ha detto il Papa -  saper gestire i beni, è un obbligo, perché i beni sono un dono di Dio, ma quando tali beni entrano nel cuore e cominciano a guidare la vita, la si perde. Sant’Ignazio di Loyola diceva che la povertà è il muro e la madre della vita consacrata. La madre che genera più fiducia in Dio. E il muro protegge da ogni mondanità. La mondanità ha distrutto molte anime! Anime generose, come il giovane  triste, che hanno iniziato bene e poi si sono attaccarle alla mondanità, e sono finite male, nella mediocrità. Hanno finito senza amore perché la ricchezza impoverisce, impoverisce male. Ci toglie ciò che di meglio abbiamo, ci rende poveri nell’unica ricchezza che vale la pena avere.

Un vecchio prete saggio - ha aggiunto - mi diceva che quando lo spirito di ricchezza entra nel cuore di un consacrato o una consacrata, un sacerdote, un vescovo, un papa, quando si comincia ad accumulare denaro per garantire il futuro, allora il futuro non è in Gesù, è in una compagnia di assicurazioni di natura spirituale, che guido. Così, quando, per esempio, una congregazione religiosa, diceva il prete, comincia a raccogliere fondi, Dio è così buono che invia un economo disastroso che porta al fallimento. Sono le migliori benedizioni di Dio alla sua Chiesa, gli economi disastrosi perché la rendono libera, la rendono povera. La nostra Santa Madre Chiesa è povera, Dio ama i poveri, come ha voluto che fosse povera la nostra Madre Maria. Quindi ha invitato a chiedersi: come è il mio spirito di povertà? Non dimentichiamo che è la prima delle beatitudini: Beati i poveri in spirito, quelli che non sono attaccati alla ricchezza, ai poteri di questo mondo.

Papa Francesco ha poi commentato la toccante testimonianza della religiosa che assiste i malati, che lei ha definito “bambini” anche se sono anziani. Sono i piccoli di cui parla Gesù. E’ il protocollo su cui saremo giudicati - ha detto il Pontefice - di cui parla il Vangelo di Matteo al Capitolo 25: "Quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me". Ci sono servizi pastorali che possono essere più gratificanti da un punto di vista umano, senza essere cattivi o mondani, ma quando uno cerca nella preferenza interiore il più piccolo, il più abbandonato, il più malato, di cui nessuno tiene conto, che nessuno vuole, il più piccolo, e serve il più piccolo, sta servendo Gesù in modo superlativo. 

Il Papa ha quindi parlato delle religiose “piagnucolone” che si lamentano perché magari avevano altri progetti, avrebbero potuto fare tante cose per il futuro dei giovani e invece sono state mandate nella  "Casa della Misericordia"  dove la tenerezza e la misericordia del Padre si fa più evidente, dove la tenerezza e la misericordia di Dio si fa carezza. Quante religiose e religiosi si bruciano - e ripete la parola - bruciano la vita accarezzando materiale di scarto, accarezzando chi il mondo scarta, chi il mondo disprezza, chi il mondo preferisce che non esista, chi il mondo oggi, con i nuovi metodi di analisi, quando si prevede che possa nascere con una malattia degenerativa, si propone di mandarlo indietro, prima della nascita. È il più piccolo. E quanti si prendono cura dei più piccoli imitano Gesù.

Il Papa ringrazia le religiose che fanno questo, al servizio di chi il mondo considera inutile, perché da ciò non si può fare nessuna impresa, non si può guadagnare denaro, non è possibile fare assolutamente nulla di costruttivo con questi nostri fratelli più piccoli. Lì risplende Gesù. E risplende la mia opzione per Gesù. Grazie a tutti i consacrati e le consacrate che fanno questo.

Poi ha detto che c'è un luogo privilegiato per il sacerdote dove appare il più piccolo: è il confessionale. E quando quell'uomo o quella donna vi mostra la vostra miseria, fate attenzione è la stessa che avete voi e Dio vi ha salvato! Quando ti mostra la sua miseria non lo punire. Se non hai alcun peccato, scaglia la prima pietra, ma solo a questa condizione. In caso contrario, pensate ai vostri peccati. E pensate che potete essere quella persona. E pensate che, potenzialmente, potete scendere ancora più in basso.  Pensate che voi in quel momento avete un tesoro tra le mani, che è la misericordia del Padre. Per favore, i sacerdoti non si stanchino mai di perdonare. Siate perdonatori. Non vi stancate di perdonare, come ha fatto Gesù. Sant’Ambrogio ha una frase che mi commuove molto: "Dove c'è la misericordia, c’è lo spirito di Gesù. Dov’è la rigidità, sono solo i suoi ministri".

Fratello sacerdote, fratello Vescovo - ha concluso il Papa - non abbiate paura della misericordia. Lasciate fluire attraverso le vostre mani e il vostro abbraccio il perdono, perché quanti sono lì sono i più piccoli. E quindi, è Gesù. 

Di seguito pubblichiamo il testo dell'omelia consegnata e non pronunciata

Ci siamo riuniti in questa storica Cattedrale dell'Avana per cantare con i salmi la fedeltà di Dio verso il suo Popolo, e ringraziarlo per la sua presenza e la sua infinita misericordia. Fedeltà e misericordia fatte memoria non solo nelle mura di questa casa, ma anche in alcuni che hanno i “capelli bianchi”, un ricordo vivente, attualizzato, del fatto che “infinita è la sua misericordia e la sua fedeltà dura in eterno”. Fratelli, ringraziamo insieme il Signore!

Ringraziamo per la presenza dello Spirito con la ricchezza dei diversi carismi nei volti di tanti missionari che sono venuti in queste terre, diventando cubani tra i cubani, segno dell’eterna misericordia del Signore.

Il Vangelo ci presenta Gesù in dialogo con il Padre, ci pone nel centro dell’intimità tra il Padre e il Figlio divenuta preghiera. Quando si avvicinava la sua ora, Gesù pregò il Padre per i suoi discepoli, per quelli che stavano con Lui e per quelli che sarebbero venuti (cfr Gv 17,20). Ci fa pensare il fatto che, nella sua ora cruciale, Gesù ponga nella sua preghiera la vita dei suoi, la nostra vita. E chiede al Padre che li mantenga nell’unità e nella gioia. Gesù conosceva bene il cuore dei suoi, conosce bene il nostro cuore. Perciò prega, chiede al Padre che non li prenda una coscienza che tende ad isolarsi, a rifugiarsi nelle proprie certezze, sicurezze, nei propri spazi, a disinteressarsi della vita degli altri, chiudendosi in piccole “aziende domestiche”, che rompono il volto multiforme della Chiesa. Situazioni che sfociano nella tristezza individualista, in una tristezza che a poco a poco lascia spazio al risentimento, alla continua lamentela, alla monotonia; «questo non è il desiderio di Dio per noi, questa non è la vita nello Spirito» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 2) alla quale Lui vi ha chiamato, alla quale ci ha chiamato. Per questo Gesù prega, chiede che la tristezza e l’isolamento non prevalgano nel nostro cuore. E noi vogliamo fare lo stesso, vogliamo unirci alla preghiera di Gesù, alle sue parole per dire insieme: «Padre, custodiscili nel tuo nome … perché siano una sola cosa, come noi» (Gv 17,11) «e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,11).

Gesù prega e ci invita a pregare perché sa che ci sono cose che possiamo ricevere solamente come dono, cose che possiamo vivere solo come un regalo. L’unità è una grazia che può darci solo lo Spirito Santo, a noi spetta chiederla e mettere a disposizione il meglio di noi stessi per essere trasformati da questo dono.

E’ frequente confondere unità con uniformità, con un fare, sentire e dire tutti le stesse cose. Questo non è unità, ma omogeneità. Questo significa uccidere la vita dello Spirito, uccidere i carismi che Egli ha distribuito per il bene del suo Popolo. L’unità si vede minacciata ogni volta che vogliamo rendere gli altri a nostra immagine e somiglianza. Per questo l’unità è un dono, non è qualcosa che si possa imporre a forza o per decreto. Sono lieto di vedervi qui, uomini e donne di diverse generazioni, contesti, esperienze di vita differenti, uniti per la preghiera in comune. Chiediamo a Dio che faccia crescere in noi il desiderio di prossimità. Che possiamo essere prossimi, stare vicini, con le nostre differenze, propensioni, stili, però vicini. Con le nostre discussioni, le nostre “litigate”, parlando di fronte e non alle spalle. Che siamo pastori vicini al nostro popolo, che ci lasciamo mettere in discussione, interrogare dalla nostra gente. I conflitti, le discussioni nella Chiesa sono auspicabili e, oserei dire, addirittura necessarie. Segno che la Chiesa è viva e lo Spirito continua ad agire e continua a renderla dinamica. Guai a quelle comunità dove non c’è un sì o un no! Sono come quegli sposi che non discutono più perché hanno perso l’interesse, hanno perso l’amore.

In secondo luogo, il Signore prega perché noi siamo riempiti della stessa “gioia perfetta” che Egli possiede (cfr Gv 17,13). La gioia dei cristiani, e specialmente dei consacrati è un segno molto chiaro della presenza di Cristo nella loro vita. Quando ci sono volti tristi è un segnale di allarme, di qualcosa che non va bene. E Gesù fa questa richiesta al Padre nientemeno che prima di recarsi all’orto degli ulivi, quando deve rinnovare il suo “fiat”. Non dubito che tutti voi dobbiate portare il peso di non pochi sacrifici e che per alcuni, da decenni, i sacrifici siano stati duri. Gesù prega, anch’Egli a partire dal suo sacrificio, perché noi non perdiamo la gioia di sapere che Egli vince il mondo. Questa è la certezza che ci spinge giorno dopo giorno a riaffermare la nostra fede. «Egli - con la sua preghiera, sul volto del nostro Popolo - ci permette di alzare la testa e ricominciare, con una tenerezza che mai ci delude e che sempre può restituirci la gioia» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 3).

Quanto è importante, che preziosa testimonianza per la vita del popolo cubano è quella di irradiare sempre e dappertutto questa gioia, nonostante le stanchezze, gli scetticismi, a volte anche la disperazione, che è una tentazione molto pericolosa che atrofizza l’anima!

Fratelli, Gesù prega perché siamo una cosa sola e la sua gioia rimanga in noi. Facciamo la stessa cosa: uniamoci gli uni agli alti in preghiera.








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