2015-09-19 09:12:00

Prof. Baggio: visita Francesco svolta importante per Cuba


Papa Francesco si appresta a ripartire per il continente americano. Dopo il viaggio del luglio scorso in Ecuador, Bolivia e Paraguay, ora il Pontefice argentino unisce in una unica visita pastorale Cuba e Stati Uniti che dopo oltre 50 anni di gelo hanno riallacciato i rapporti diplomatici. Ma che Paese è oggi Cuba? Sergio Centofanti lo ha chiesto al prof. Antonio Maria Baggio, formatore presso il Centro culturale Félix Varela all’Avana:

R. – Cuba, attualmente, è un Paese che avverte fortemente la necessità di cambiare. Ci sono però, all’interno della società, tendenze contrastanti: abbiamo da una parte Raúl Castro che sta tirando Cuba verso un cambiamento, anche se controllato. E dall’altra parte, abbiamo degli apparati che, almeno in parte, sono molto più rigidi. Inoltre abbiamo anche tuttora il fenomeno della volontà di emigrazione dei cubani, cioè di voler lasciare questo Paese e quando troppe persone vogliono lasciare il Paese, e continuano a farlo da tanto tempo, significa che non hanno fiducia nel proprio futuro. E’ cambiata la vita quotidiana perché si vede un proliferare di commerci, di attività quotidiane. Però, fino a che punto questo ha toccato la struttura del Paese? Ancora poco. Quindi, c’è tanta attesa e soprattutto speranza che l’arrivo del Papa segni una svolta ulteriore.

D. – La Chiesa, dalla storica visita di Giovanni Paolo II nel 1998, sta avendo maggiori spazi di libertà. Qual è il suo ruolo, oggi?

R. – Il ruolo della Chiesa è unico, perché è l’unica grande istituzione organizzata e presente in maniera capillare a Cuba, che non sia l’apparato istituzionale, di governo e del partito. Certamente ha maggiori spazi di libertà. E’ da sottolineare che questa maggiore, relativa libertà della Chiesa non si deve misurare soltanto con i metri quadrati delle Chiese che sono state, in un certo numero, restituite, ma con il fatto che c’è una libertà di comunicazione, di pensiero da parte della Chiesa. Questo entra nell’opinione pubblica e quindi diventa una libertà per tutti, non soltanto per la Chiesa.

D. – Come vede il laicato cattolico?

R. – La società civile a Cuba è sempre stata fortemente controllata. La rivoluzione del ’59 si è strutturata in maniera tale da incanalare tutte le forme sociali, che dovrebbero essere forme spontanee, in strutture ufficiali. E quindi, il problema del laicato è stato che non ha potuto esprimersi nel suo luogo naturale e così si è espresso soprattutto all’interno dei luoghi della Chiesa. Quello che io vedo, però, negli ultimi anni è la disponibilità dei laici a cogliere le occasioni e gli spazi di un impegno sociale, che un po’ alla volta vengono offerti.

D. – Come sono i giovani cubani, oggi? Quali le loro aspirazioni?

R. – La maggiore aspirazione dei giovani cubani – perché ormai è tanto tempo che ho occasione di parlare con loro – è che vogliono lasciare il Paese. E questo comprendiamo tutti che è un aspetto piuttosto triste nel bilancio di quello che è successo a Cuba negli ultimi decenni. La visita del Papa potrebbe essere davvero una svolta: il Papa parlerà ai giovani, ha in programma un dialogo spontaneo con loro e potrebbe essere un momento oserei dire vocazionale, cioè un momento nel quale i giovani capiscano che vale la pena di stare a Cuba, vivere per Cuba e migliorarla.

D. – Il disgelo con gli Stati Uniti è una svolta storica. Quali le prospettive?

R. – Ciò che è già stato realizzato è molto. C’è un’aspettativa importante che questa possibilità – non soltanto di disgelo ma anche di collaborazione – porti benessere per i turisti che arrivano, porti la possibilità di tentare di fare un’esperienza fuori Cuba, negli Stati Uniti, con la possibilità – che adesso esiste – di rientrare: questa è una cosa di grande importanza! E' caduta la rigidità del controllo del passaggio fuori Cuba e dentro Cuba. Togliere l’embargo sarebbe importante, perché l’embargo è più che altro un’arma ideologica: i ricchi, anche a Cuba possono ottenere quello che vogliono … Quello che è necessario fare è superare gli estremismi che ci sono da una parte e dall’altra. Questo potrebbe consentire, se si bloccano i radicali estremi di Miami come certi neo-giacobini che esistono anche a Cuba, di sviluppare la grande possibilità di collaborare tra "cubani di fuori" – che magari hanno fatto fortuna, che hanno capitali, che sono pronti a investire in Cuba - e i "cubani di dentro", e quindi creare uno sviluppo che sia controllato nel senso che non ci sia un nuovo impero McDonald in Cuba, ma che ci sia una libertà di impresa con i cubani stessi protagonisti del loro sviluppo.

D. – Che cosa significa per Cuba il viaggio di Papa Francesco?

R. – Significa moltissimo. E’ difficile dirlo a parole, perché Francesco è americano e viene avvertito come qualcuno che sorge dall’America ma porta una visione universale e una corrispondenza con la fede. Non possiamo immaginarci cosa voglia dire per i cubani, soprattutto per i cattolici, vedere che il capo dei cattolici, il loro punto di riferimento, ha un ruolo internazionale, viene ascoltato non solo dai cattolici ma da tutti. Questa è una cosa fenomenale! Io penso che possa essere importante in maniera strategica, perché Cuba si sta interrogando su quale modello adottare per uscire dalla sua situazione. Si parla del “modello-Cina”, cioè di uno sviluppo capitalistico controllato politicamente dal governo: questo permetterebbe di mantenere la continuità del potere cambiando l’economia. Sono state mandate commissioni di studio addirittura in Vietnam … Quindi, si cercano dei modelli. Ma la domanda che noi potremmo farci, adesso, è questa: Papa Francesco sta sviluppando – e continua a comunicare – una visione di cambiamento di sistema, e lo fa parlando ai Paesi occidentali, ai Paesi ricchi. Quindi il Papa è portatore di una visione sistematica basata sulla dottrina sociale cristiana che assume in sé anche tutte le esigenze di giustizia che avevano caratterizzato la rivoluzione cubana; però, le equilibra, le impianta in un rispetto per l’essere umano. Non potrebbe essere, questa visita di Francesco, l’occasione per prendere in considerazione non soltanto il modello cinese o il modello vietnamita, ma anche – per così dire – il modello umano che Francesco propone?








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