2015-09-13 13:46:00

La Catalogna torna a chiedere l’indipendenza dalla Spagna


In Spagna la Catalogna torna ad invocare la secessione in vista delle elezioni regionali del prossimo 27 settembre. Ad aprire la campagna elettorale, una massiccia manifestazione di piazza che si è svolta nei giorni scorsi a Barcellona. A Madrid sempre netta la chiusura del Partito Popolare del premier Mariano Rajoy. Eugenio Bonanata ne ha parlato con Alfonso Botti, docente di Storia Contemporanea all’Università di Modena e Reggio Emilia e condirettore della rivista Spagna Contemporanea:

R. – La questione catalana ha rimesso in gioco il Partito Popolare: se dovessero vincere gli indipendentisti, il Partito popolare ne trarrebbe vantaggio, perché questo è il partito che rappresenta l’unità territoriale della Spagna, quindi verrebbe premiato. Se gli indipendentisti catalani non dovessero ottenere il successo che si aspettano, i meriti li incasserebbe Rajoy perché, con la sua opposizione alla secessione, ha frenato la spinta indipendentista. Quindi la situazione catalana pesa molto anche nel quadro politico spagnolo complessivo.

D. – Quindi cosa ci dovremmo aspettare in questa campagna elettorale?

R. – Nella campagna catalana mi sembra che gli elementi siano già chiari. C’è uno schieramento di forze abbastanza eterogeneo, perché mette insieme “Convergencia Democrática de Cataluña” – cioè il partito del presidente della “Generalidad”, Artur Mas, un partito social-democratico, moderato – con i repubblicani de “Izquierda Democrática de Cataluña”, che è un partito storico indipendentista da quando è nato, quindi dagli anni ’30. Però è difficile che i due assieme ottengano la maggioranza dei deputati - certamente non otterranno la maggioranza degli elettori - e quindi dovranno appoggiarsi su un nuovo movimento, il Cup, che è un movimento antagonista di estrema sinistra e nazionalista. Quindi, è una situazione certamente molto complessa: però, mi sembra di capire che Artur Mas, qualunque sia la soluzione, voglia giocare e puntare sulla rottura con Madrid.

D. – Comunque, c’è da dire che la questione secessionista è molto delicata anche a livello europeo…

R. – È certamente delicata a livello europeo perché se la Catalogna dovesse diventare uno Stato indipendente – e non è una cosa semplice anche dal punto di vista giuridico-formale – poi avrebbe bisogno del consenso dei Paesi dell’Unione per essere riammessa. E la Spagna certamente porrebbe il proprio veto. Però non credo che sia una linea opportuna quella di usare, come sta facendo il Partito popolare, lo spauracchio dell’Europa. Ci sono altri strumenti, altre leve politiche di mediazione, di negoziato, che Rajoy non ha percorso e non ha utilizzato.

D. – E quali sono questi strumenti?

R. – Che gli indipendentisti in Catalogna siano il 49 o il 51%, questa rappresenta una realtà che non si può evitare di considerare come presente, come forte. Quindi, una forza politica responsabile è una forza politica che legge la realtà e introduce e vede quali sono le risposte più adeguate. Il punto è che di tutto questo, nel caso spagnolo degli ultimi anni, non si è assolutamente mai parlato! E invece i problemi sono: in primo luogo, l’individuazione del quorum con cui un referendum secessionista possa funzionare; in secondo luogo, la maggioranza con cui si produce una secessione – e qui il riferimento è la Corte costituzionale del Québec che ha fissato una maggioranza alta. Se noi pensiamo che una riforma costituzionale nei parlamenti europei si fa con una maggioranza di 2/3, possiamo pensare che una secessione - la creazione di un nuovo Stato - si faccia con il 51% dei voti? Io credo che questo non abbia senso né fondamento. Un’altra questione è: ogni quanti anni si fa il referendum? Adesso mettiamo che vincano gli indipendentisti portando a termine la secessione: chi non è d’accordo con quest’ultima, non avrà il diritto di chiedere un referendum per rientrare nello Stato spagnolo? E ogni quanto lo facciamo? Questi sono i termini politici della questione, che invece non sono mai entrati in gioco nel dibattito pubblico spagnolo di questi anni e di questi mesi.

D. – Quindi, secondo lei, la questione è mal posta?

R. – Il Partito Popolare sta affrontando questa questione – il problema catalano – con uno scontro frontale, a muso duro. Mentre i socialisti, pur essendo in crisi, per lo meno stavano proponendo una riforma costituzionale; “Podemos” propone un processo costituente: di ripensare l’organizzazione territoriale dello Stato in chiave federale. Queste sono tutte mosse che possono aprire un dibattito portando ad un negoziato e ad una mediazione.








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