2015-09-10 07:43:00

Copenaghen rimuove i blocchi: via libera ai treni dalla Germania


Questione migranti in Europa. La Danimarca sblocca treni e autostrada dopo che nella notte aveva bloccato il passaggio di migranti dalla Germania. Intanto, l'esercito ungherese ha cominciato esercitazioni militari per preparare i propri effettivi a una stretta sorveglianza della frontiera meridionale con la Serbia. Nei giorni scorsi il premier Viktor Orban ha annunciato l'invio di militari alla frontiera con la Serbia per affiancare le forze di polizia nel far fronte all'incessante flusso di migliaia di migranti e profughi in marcia lungo la 'rotta balcanica'. Il servizio di Fausta Speranza

Riprende dunque il viaggio per i 300 migranti, tra cui numerosi anziani e bambini che vogliono andare in Svezia passando per la Danimarca. Finora da domenica, poco più di 150 dei mille approdati in Danimarca hanno chiesto asilo nel paese, gli altri si sono diretti infatti in Svezia. Il blocco della notte era stato spiegato dal ministro dell'Integrazione danese: in assenza di un accordo speciale con Stoccolma, Copenaghen bloccava l’arrivo dalla Germania.  Un particolare da sottolineare: sulla carovana, molto limitata, se pensiamo alle migliaia di persone viste in Ungheria, la polizia danese inizialmente predispone un pattugliamento aereo, ma poi il provvedimento si blocca: è troppo il terrore che si scatena al rumore di aerei e elicotteri  per queste persone che vengono da territori di guerra e continui bombardamenti . Resta l’appello lanciato ieri dal presidente della Commissione Europea:  Juncker ha parlato al Parlamento Europeo  chiamato ad approvare il ricollocamento dei 40.000 profughi arrivati in Italia e Grecia, deciso a luglio dai capi di Stato e di governo, ma Juncker dice chiaro: “ci vuole  coraggio'' e spiega: ora è evidente che bisogna organizzare il ricollocamento di 160mila profughi.

Le parole di Jean-Claude Juncker più che coraggiose sono realistiche. E’ l’opinione di padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, il servizio dei Gesuiti per i rifugiati in Italia. L’intervista è di Francesca Sabatinelli:

  

R. – Sono certamente parole che vanno nella direzione giusta: una descrizione di un’Europa che non vuole più essere un’Europa che costruisce dei muri ma che accoglie persone che scappano da guerre e persecuzioni.

D. – Questo cambiamento che c’è stato da parte di alcuni Paesi in Europa è possibile che lo si debba solo ed esclusivamente all’impressione, allo sdegno, suscitati dalla fotografia del piccolo bimbo curdo siriano sulla spiaggia?

R. – Io non credo. Credo che forse l’immagine e la forza più sconvolgente sia stata quella della colonna umana di persone che hanno attraversato l’Europa, una forza vitale che in qualche modo non si poteva più far finta di non vedere. Questa fila umana ha riproposto quelle immagini di campi profughi che eravamo abituati a vedere soltanto nei Paesi del Sud del mondo. E invece ce le siamo ritrovate davanti nel cuore dell’Europa e questo credo sia stato un elemento, una scossa, che l’Europa non poteva non considerare.

D. – La Germania accoglie i siriani e oggi parlando di rifugiati si fa riferimento quasi esclusivamente a loro. Ma sappiamo che a fuggire dalle guerre non sono soltanto i siriani, sappiamo che un altissimo numero di persone che attraversa il mare viene, un esempio, anche dall’Eritrea, ma di loro non parla nessuno. Perché?

R. – Perché tra le guerre a volte ci sono anche le guerre dimenticate, le situazioni di Paesi dimenticati. L’Eritrea ha questa situazione ormai da più di 20 anni. Con il tempo, noi rischiamo di non ricordare più delle cose, però la situazione di eritrei, così come di altre popolazioni, rischia di essere altrettanto grave di quella dei siriani, se non a volte peggio, proprio perché si accumula anche la questione del dimenticarsi di loro. Allora, in questi giorni non bisogna dimenticare queste guerre, ma essere più comprensivi. Ci sono tante persone che fuggono da guerre e da persecuzioni, non sono solo i siriani, e se vogliamo veramente aiutare queste persone dobbiamo considerarle nel loro complesso e soprattutto non dimenticarci che esistono altri conflitti e quindi andare alla radice dei conflitti, se vogliamo anche ridurre il numero delle persone che fuggono.

D. – Non si può non notare la puntualizzazione che viene fatta da tutti: l’accoglienza è per le persone che hanno i requisiti per richiedere lo status di rifugiato, perché in fuga da guerre e persecuzioni, un altro discorso sono i migranti di tipo economico. Eppure, padre Ripamonti, tra questi migranti non possiamo non pensare a tutti coloro che fuggono dalle situazioni di gravissima miseria e di gravissima povertà in cui versano i loro Paesi…

R. – Dobbiamo fare attenzione a non dimenticarci di loro. Situazioni anche spesso molto gravi che invitano l’Europa a ripensare alle politiche sull’immigrazione. Certamente noi in questi giorni stiamo affrontando la questione dei rifugiati, delle persone che scappano da guerre e persecuzioni ma non dimentichiamo che l’immigrazione è un fenomeno più ampio, più vasto, e che una parte non da sottovalutare interessa quelle persone che scappano da situazioni di fame, anche per loro è un diritto andare in una situazione in cui la vita sia migliore. Non dobbiamo dimenticarlo e soprattutto dobbiamo fare in modo che politiche europee sull’immigrazione tengano in considerazione anche questo.

Per mons. Guerino Di Tora, presidente della Commissione Cei per le migrazioni e della Fondazione Migrantes, che ascoltiamo al microfono di Francesca Sabatinelli, è importante in particolare un dato messo in luce da Juncker:   

   

R. – L’unione delle persone, delle culture è ancora ben lungi da venire e quindi su questo si dovrà ancora molto lavorare. Dobbiamo ancora acquisire una coscienza unitaria e Juncker ha ben evidenziato alcuni aspetti. Per esempio, il fatto che ci troviamo in un momento in cui dobbiamo prendere coscienza della verità della situazione di fronte alla quale lui ci invita a non scoraggiarci, perché la realtà europea – lui ha detto – in questo momento ha i mezzi sia legislativi sia economici per affrontare questa situazione che rappresenterebbe lo 0,11 per cento della popolazione, quindi non è una realtà tale da non poter governare.  

D. – La Commissione per le migrazioni della Conferenza episcopale italiana, la Fondazione “Migrantes” come rispondono all’invito di Papa Francesco, che ha chiesto di aprire le porte alle famiglie di profughi?

R. – L’invito è già stato pienamente accolto e raccolto, e ci siamo immediatamente messi in movimento per poter costruire degli orientamenti, delle realtà legislative, da poter dare come regole un po’ per tutti. L’importante è che, messi in movimento, presenteremo al prossimo Consiglio di presidenza della Cei, questo “pacchetto” in modo che diventi qualcosa di appropriato per tutta la Chiesa italiana. Dobbiamo veramente poter regolamentare e far sì che non sia qualcosa “alla buona”, ma che rappresenti veramente un valore di accoglienza per la dignità delle persone, per quelli che, fuggendo da realtà di morte, di guerra, possano sentire veramente un afflato.








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