2015-09-08 18:49:00

A Venezia "Sangue del mio sangue" scombina la verità storica


Presentato oggi alla Mostra del Cinema di Venezia il terzo dei film italiani in gara, sui quali si sono riversati dubbi e critiche discordi. Si tratta di "Sangue del mio sangue" di Marco Bellocchio, da domani nei cinema. Da Venezia Luca Pellegrini:

Italiani in concorso a Venezia. Con pochi applausi e molte perplessità. Piero Messina ci arriva con la sua opera prima, "L'attesa" e canalizza tutta la sua ricercatezza estetica fotografando una villa siciliana attorniata da natura rigogliosa, ove una madre attende di rivelare la morte del figlio alla ragazza che se n'era innamorata. Senza nerbo e personalità. Luca Guadagnino fa di peggio in "A bigger splash" col quale rivisita un bel film del 1969, "La piscina". Questa volta la villa dei ricchi è a Pantelleria, due coppie libertarie e fragili si scontrano tradendosi, umiliandosi, con finale tragicissimo e successiva deliberata farsa, che ridicolizza l'Italia, chi ne assicura l'ordine e il dramma vero dei clandestini. Una caduta imperdonabile.

Poi oggi è arrivato Marco Bellocchio con "Sangue del mio sangue", che almeno è sostenuto dalla forza delle idee, anche se discutibili, e alcuni momenti di impeccabile cinema. Duplice piano del racconto: nel '600 a Bobbio, città natale del regista, una suora è accusata di fornicazione con un sacerdote, poi suicida. Per permettere la sua sepoltura in terra consacrata, è necessario estorcere la confessione alla poveretta, creduta strega. I gradi del processo sono terribili. Lei non cede. I sacerdoti e religiosi incarnano la versione più cupa della storia. Lei sarà murata viva, come accadde a Monza. Oggi a Bobbio, invece, la società è collassata per ruberie, avidità, tornaconti personali e la parola di verità e di saggezza arriva da un vampiro fuggito dal mondo, interpretato da Roberto Herlitzka, come sempre bravissimo.

Non è necessario chiedere coerenza narrativa tra le due parti, perché sarebbe sminuire la ragione stessa del film. Ma certo pur nella libertà creativa di Bellocchio, qualche senso dovrebbe connetterle. Lui ha dichiarato che potrebbe farlo un'analogia, storicamente poco plausibile: nel '600 succhiava il sangue la Chiesa, nel '900 i democristiani, di cui la società attuale ne è il frutto. Così la suora nel finale del film, per proclamare il valore della libertà, esce dal muro quasi angelicata e fulgida nella sua bellezza, atterrando d'un colpo i presenti, tra i quali un cardinale che pochi capiscono essere addirittura San Carlo Borromeo. Una sciocchezza imperdonabile.

Così Bellocchio, ossessionato ancora una volta e sempre dalla religione e dal cattolicesimo in particolare, che perdura a considerare come una forza oscurantista, pur rimanendone profondamente affascinato, scombina la verità storica e addensa nel suo film, come già accaduto in altri suoi, quel sapore di morte dal quale non riesce mai a liberarsi. Questa volta nemmeno con l'ironia di un nobile vampiro.

 








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