2015-09-07 12:00:00

Sud Sudan: continuano le violazioni della tregua


In Sud Sudan sono sempre più frequenti le violazioni del cessate-il-fuoco dopo l’accordo siglato nei giorni scorsi tra le due fazioni guidate dal presidente Salva Kiir e l’ex vice-presidente Riek Machar. A complicare la situazione ci sono anche diversi gruppi armati che non riconoscono l’intesa. Eugenio Bonanata ne ha parlato con Anna Bono, docente di Storia e istituzioni dell’Africa all’Università di Torino:

R. – La speranza che questo cessate il fuoco tenesse è stata smentita fin dalle prime ore dopo la firma; scontri più o meno importanti si sono verificati nell’immediato e, purtroppo, continuano. La ragione principale è questa: anche se i due contendenti hanno sottoscritto l’accordo, né l’uno né l’altro sono in grado di controllare i loro seguaci, sia i gruppi armati che seguono il dissidente Machar sia una parte dell’esercito che dovrebbe obbedire agli ordini del presidente Kiir.

D. - Cos’altro è mancato all’accordo?

R. - L’accordo è stato fatto con riserva. Il presidente Salva Kiir ha subito detto che una serie di punti di questo accordo andava ridiscussa e verificata. Io credo che il problema principale sia che questo accordo sia stato strappato quasi a forza ai due contendenti e che non ci sia una reale volontà di mantenere gli accordi presi, anche tenendo conto di eventuali verifiche e modifiche che possono essere introdotte nei prossimi giorni e nelle prossime settimane.

D. - Qual è il problema di fondo?

R. - È quello che ha scatenato il conflitto nel 2013, cioè che i due principali gruppi etnici, i Dinka e i Nuer, si contendono il potere e tutto fa pensare che continueranno a farlo. Aldilà degli scontri che continuano, il grande punto interrogativo è se nelle prossime settimane i colloqui che dovrebbero portare molto presto alla nascita di un governo di unità nazionale andranno a buon fine. Questo, in altre parole, significa se Salva Kiir per i Dinka e Riek Machar per i Nuer riusciranno a mettersi d’accordo sulla spartizione degli incarichi a tutti i livelli governativi e poi via via amministrativi. Lo scontro è iniziato proprio per questo, perché i Dinka stavano accentrando il potere e quindi ad un certo punto la seconda etnia più importante del Paese si è ribellata. È una situazione che molto probabilmente potrebbe verificarsi di nuovo.

D. - Cosa significa questo stato di cose per la diplomazia internazionale?

R. - Direi che è la conferma ennesima di quanto è difficile dall’esterno influire e interferire in termini sia postivi che negativi sulle sorti di un Paese. È vero che si possono fare pressioni soprattutto a livello economico e che si possono minacciare sanzioni di vario tipo. Ma poi, in sostanza, stiamo parando di Stati sovrani con le loro dinamiche, i loro rapporti di forza tra le varie componenti e alla fine la partita si gioca all’interno.

 








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