2015-09-05 14:57:00

Venezia: in "Marguerite" i temi dell'amore e dell'innocenza


Xavier Giannoli porta in concorso a Venezia "Marguerite": il ritratto di una donna fragile, soprano dalle mille stonature e moglie innamorata, che si difende dal male del mondo barricandosi in una magnifica illusione. Dal nostro inviato a Venezia, Luca Pellegrini:

L'impervia coloratura della prima aria della Regina della Notte del "Flauto magico" mozartiano per lei, Marguerite, ai suoi orecchi, è una meravigliosa, superba sfida vocale, che sente di aver vinto per l'applauso degli amici. Ma per chi l'ascolta, invece, quella è soltanto una raffica impietosa di note stonate, ululati che mortificano il genio di Salisburgo e le ragioni dell'arte musicale. In questo contrasto insanabile risiede tutta la forza drammatica del film di Xavier Giannoli, uno dei più belli sino ad oggi presentati alla Mostra veneziana. Assai liberamente ispirandosi alla cantante americana Florence Foster Jenkins, vissuta nella prima metà del secolo scorso, il regista francese non ne ricostruisce la biografia, ma coglie di quel personaggio i risvolti umani per riflettere su molti temi attinenti all'amore, all'innocenza, al rapporto con l'opera d'arte, all'anelito verso un mondo migliore. Immersa nella cultura dadaista francese degli anni '20 – tra nobili compiacenti e anarchici sovversivi, servi adulatori e cantanti falliti – Marguerite, ricchissima, interpretata da una splendida Catherine Frot, attira a se brame e invidie, ma il suo candore estremo e la sua illusione caparbia la preservano, in fondo, dal male degli uomini, che possono essere ipocriti, rapaci e bugiardi. Abbiamo chiesto a Giannoli chi è per lui davvero Marguerite:

R. – Ce qui est très touchant et très…
Quello che è molto commovente, e molto umano nel destino di questa donna, è il suo amore per la grande musica, per il genio dei grandi musicisti e come, allo stesso tempo, essa sia limitata per l’assenza totale di talento nel canto. Credo che il suo anelito alla bellezza, all’amore, al sublime, e insieme la sua difficoltà a riconoscere che non è quello che crede di essere, i propri limiti, è qualcosa della vita dell’uomo che mi commuove e che mi interessa.

D. – Ma è anche una grande storia d’amore…

R. – C’est aussi une grande histoire d’amour!…
E’ anche una grande storia d’amore! Infatti, ascoltando la voce di questa donna all’inizio viene voglia di ridere: la sua voce si spezza, è un caos vocale – è stato terribile durante le riprese, mi faceva tanto ridere quando cantava… Allo stesso tempo, quello che il film vuole esprimere è che le incrinature nella sua voce sono il segno delle incrinature del suo corpo, del suo cuore, e che al di là dell’ilarità che provoca essa esprime una profonda umanità, una grande solitudine e un grande bisogno d’amore.

D. – Qualche volta nella vita non ci accorgiamo delle nostre stonature: ecco, Marguerite ci insegna che è meglio vivere credendoci intonati?

R. – C’est le sujet du film: on a tous besoin d’illusions pour vivre…
E’ proprio questo l’argomento del film: abbiamo tutti bisogno di illusioni, per vivere… Poi, questo mi pone una domanda molto importante, avendo ricevuto un’educazione cristiana – il prossimo film che farò parlerà proprio di questo – ed è: a cosa possiamo credere ancora? Che sia credere che cantiamo bene o credere che ci sia qualcosa dopo la morte o credere che l’amore sulla Terra sia possibile… Questi sono i temi ricorrenti in tutti i miei film.

D. – Secondo lei, perché Marguerite alla fine ascoltandosi muore, proprio nell’ascoltare la sua voce?

R. – Pour moi, elle ne meurt pas. Pour moi…
Per me, lei non muore. Per me, una volta di più – forse è il cristiano che è in me che parla – diventa eterna, perché muore come i grandi personaggi dell’Opera che lei ha sempre sognato di essere e questo la rende eterna.








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