Le proteste popolari contro la classe politica che da settimane agitano il Libano rappresentano una legittima espressione di pressione “democratica” nei confronti di fazioni e personaggi politici screditati, responsabili in larga misura della crisi del sistema Paese. Ma allo stesso tempo "il ricorso alla piazza cela pericoli, in particolare quando le tensioni sono esasperate e le fiamme che circondano il Libano rischiano di minare la sua stabilità". E' un messaggio allarmato e pieno di messe in guardia quello uscito dal summit dei Capi delle Chiese e delle comunità cristiane ospitato nella giornata di ieri presso la Sede patriarcale maronita di Bkerké.
Il rischio di infiltrazioni di facinorosi nelle manifestazioni di protesta
Nel testo letto e diffuso alla fine dell'incontro, ripreso all'agenzia Fides, i patriarchi
e gli altri rappresentanti cristiani hanno puntato i riflettori sul rischio delle
“infiltrazioni di facinorosi tra i manifestanti pacifici”, denunciando gli atti di
violenza e di vandalismo già verificatisi durante le manifestazioni organizzate nel
centro di Beirut e invitando tutti ad anteporre “l'interesse nazionale agli interessi
privati, per evitare che il Libano sprofondi verso l'ignoto e per preservarlo dalle
tragedie che ci circondano, e che inquietano il nostro popolo”.
Parole dure sull'impotenza della classe dirigente
Riguardo alla paralisi istituzionale e politica in cui si dibatte il Paese dei Cedri,
i Capi cristiani hanno avuto parole dure sull' “impotenza della classe dirigente,
incapace di garantire i servizi più elementari che sono necessari per una vita dignitosa”.
Ma i leader spirituali delle Chiese e delle comunità cristiane libanesi hanno soprattutto
espresso considerazioni nette ed esplicite circa la “tabella di marcia” che i politici
devono seguire per uscire dalla crisi.
L'urgenza di eleggere il nuovo Presidente
Secondo i patriarchi e gli altri capi cristiani, occorre a ogni costo iniziare con
l'elezione del Capo di Stato, “in conformità alle norme costituzionali”, ponendo fine
allo stallo e ai veti incrociati che hanno reso vacante la massima carica dello Stato
dal maggio 2014. I leader che hanno preso parte al “summit” sottolineano con decisione
che la scelta del nuovo Presidente deve precedere la convocazione di nuove elezioni
politiche, opponendosi a chi sostiene che la crisi istituzionale si può superare solo
sciogliendo il Parlamento e chiamando il popolo alle urne. Il governo in carica –
si legge nel messaggio – deve rimanere in carica almeno fino a quando non viene eletto
il Presidente. E in futuro, un nuovo governo dovrà mettere mano a riforme elettorali
e istituzionali per evitare nuove paralisi e vuoti di potere.
Solo ipotesi sull'annullamento del summit islamo-cristiano
All'incontro di Bkerkè hanno preso parte, tra gli altri, il patriarca maronita Boutros
Bechara Rai, il patriarca greco ortodosso di Antiochia Yohanna X, il catholicos armeno
apostolico Aram I, il patriarca melchita Gregoire III, il patriarca siro cattolico
Ignatius Yussef III e l'arcivescovo Gabriele Caccia, nunzio apostolico in Libano.
All'incontro avrebbero dovuto prendere parte anche i rappresentanti delle comunità
islamiche libanesi. Finora non sono state fornite ufficialmente le ragioni che hanno
portato all'annullamento del summit islamo-cristiano. Secondo i media libanesi, la
riunione sarebbe stata rinviata per la mancata partecipazione di alcuni leader musulmani.
(G.V.)
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