Resta alta la tensione tra Colombia e Venezuela a causa della crisi diplomatica scoppiata una settimana fa quando, in una sparatoria al confine tra i due Paesi, sono rimasti feriti tre soldati e un civile venezuelani. Caracas ha attribuito l’episodio a "forze paramilitari colombiane", decidendo poi di dichiarare lo stato di emergenza e di chiudere le frontiere, fino a quando non sarà stroncata, nel Paese confinante, la vendita di prodotti venezuelani di contrabbando. Di qui, il dramma di oltre mille colombiani espulsi e di altri seimila che hanno lasciato volontariamente il Venezuela. Dalla Chiesa, intanto, arriva un appello a rispettare i diritti umani e ad evitare un’escalation di violenza: casi “riprovevoli” di “eccessi e abusi nei confronti di cittadini colombiani - afferma l’arcivescovo di Caracas, card. Jorge Liberato Urosa Savino - vanno fermati immediatamente”.
Prevalgano calma e prudenza. Si lavori per la pace
Il porporato invoca, quindi, “il rispetto della dignità
di tutte queste persone”, un obbligo “dal punto di vista cristiano ed anche giuridico,
del governo”. “Se è vero che vi sono al confine molti focolai di violenza – aggiunge
il card. Urosa - è bene che vengano presi i criminali, ma non ci si deve scagliare
contro i comuni cittadini”. Quanto allo stato di emergenza, il porporato lo ritiene
una misura “sproporzionata”: “le garanzie non possono essere sospese per semplici
operazioni di polizia”, spiega, auspicando quanto prima “un ritorno alla normalità”.
Quindi, l’arcivescovo di Caracas esorta Venezuela e Colombia “al dialogo ed all’incontro”,
affinché i problemi si risolvano “con intelligenza e con misure che non danneggino
i cittadini” e prevalgano “ponderazione, calma e prudenza”, perché “c’è bisogno di
pace e tutti devono lavorare per essa”.
Il dramma delle famiglie costrette a separarsi
Dal suo canto, anche il presidente della Conferenza
episcopale venezuelana, mons. Diego Padrón, ha espresso la preoccupazione della Chiesa
locale per le tensioni in corso ed ha esortato il governo di Caracas a trovare una
soluzione pacifica, promuovendo il dialogo con la Colombia. Sulla stessa linea anche
il vescovo colombiano di Cucuta, mons. Víctor Ochoa Cadavid, che ha esortato le comunità
e le autorità locali ad essere solidali con i colombiani espulsi, il cui numero potrebbe
aumentare. Intanto, oltre 4.550 colombianio sono tornati volontariamente in patria;
tra loro, 1.500 hanno chiesto aiuto alla diocesi di Cucuta, in cerca di una sistemazione.
Ma il problema più grave, sottolinea mons. Ochoa, riguarda le famiglie composte da
genitori colombiani e figli venezuelani, perché in molti casi sono state separate.
Per questo, la Croce Rossa e il Servizio dei gesuiti per i rifugiati del Venezuela
(Jrs) stanno lavorando per agevolare i ricongiungimento familiari. (I.P. – A.T.)
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