2015-08-28 14:08:00

Tensione tra Colombia e Venezuela, richiamati gli ambasciatori


Colombia e Venezuela hanno richiamato i loro rispettivi ambasciatori dopo giorni di tensioni crescenti tra i due Paesi. La crisi diplomatica era scoppiata una settimana fa, dopo una sparatoria al confine in cui erano rimasti feriti tre soldati e un civile venezuelani, attribuita da Caracas a "forze paramilitari colombiane". Il presidente venezuelano, Nicolas Maduro, ha chiuso quindi il confine e ha dichiarato lo stato di emergenza nelle aree di frontiera. È seguito poi il dramma di oltre mille colombiani espulsi e di altri seimila che hanno lasciato il Paese. Il presidente colombiano, Santos, hachiesto una riunione dell’Unasur (Unione dei Paesi sudamericani) per discutere la situazione. Per un commento, Marco Guerra ha intervistato Alfredo Somoza, esperto di America Latina e presidente dell’Istituto per la cooperazione economica internazionale:

R. – Quel confine, lungo circa 2.000 chilometri, è uno dei confini “caldi” dell’America Latina. “Caldo” perché, storicamente, sia la Colombia che il Venezuela sono stati i Paesi con il maggior numero di conflitti e tensioni reciproche nella Regione. Alla frontiera si sono un po’ materializzate tutta una serie di problematiche: insieme alle Farc, attraverso quel confine, transita anche tanta droga… Quindi, sono questi i problemi tipici di quella frontiera e che, a momenti alterni, hanno creato picchi di tensione. Questa però non è una novità: nel senso che non è successo niente di particolare, a parte quello scontro di una settimana fa, ma tanti altri purtroppo se ne verificano a quella frontiera e qualcuno si ferisce, soprattutto nell’ambito della lotta al contrabbando. Ora, questa tensione, che arriva ai massimi livelli – quelli dello Stato, con il richiamo degli ambasciatori – ci sta sicuramente raccontando qualcos’altro. Da un lato, la Colombia ha mantenuto una linea intransigente rispetto al governo venezuelano e alla sua condotta politica ed economica: sia l’attuale presidente Santos che il suo predecessore non sono amici del Venezuela e non sono mai stati amici di Chavez. Ma forse, la difficoltà più grande la troviamo in Venezuela, un Paese che ha grandi problemi economici, con un’inflazione che si aggira intorno al 40-50%. È un Paese nel quale mancano da tempo beni di prima necessità, soprattutto del settore alimentare, che sta vivendo un periodo di instabilità politica molto forte e che quindi potrebbe avere un vantaggio a creare un conflitto esterno, così da deviare l’attenzione.

D. – Infatti, alcuni sostengono che in realtà si tratti di una crisi innescata dal Venezuela per distrarre il popolo in vista delle prossime elezioni che si avvicinano…

R. – Sì, a fine anno ci saranno le elezioni legislative in Venezuela: un appuntamento importante perché è il primo appuntamento elettorale dopo la vittoria alle presidenziali di Nicolas Maduro, il successore di Chavez. Ma è indubbio che in questi due anni Maduro abbia perso consensi, soprattutto a causa della incapacità dimostrata nella gestione economica. Il Venezuela ha un grave deficit, in questo momento, di direzione della propria economia, nell’intento di riuscire a trovare una soluzione per risolvere il problema concreto del Paese, che, come tutti i Paesi petroliferi, soffre le conseguenze del calo del prezzo del petrolio: questo è passato dagli 60-80-90 dollari al barile ai 40. Quindi, il Venezuela deve fare i conti con degli introiti praticamente dimezzati rispetto alla sua eredità petrolifera. Questi problemi, sommati al fatto che Nicolas Maduro non era sicuramente all’altezza di Chavez, si ripercuoteranno di certo alle prossime elezioni. Adesso, è stato dichiarato lo stato di emergenza in Venezuela e secondo alcuni osservatori si potrebbe rischiare una sospensione e una proroga di queste elezioni a causa di questi conflitti di frontiera con la Colombia. Se ciò dovesse mai succedere, il motivo non sarebbe la tensione con la Colombia, ma si dovrebbe leggere come una manovra di politica interna venezuelana.

D. – E' stato decretato lo stato di emergenza nelle aree di confine da parte del Venezuela. E quindi c’è la tragedia dei colombiani che sono stati ricacciati oltre frontiera….

R. – Sì, la situazione dei colombiani, che sono stati praticamente deportati, è drammatica e al tempo stesso grottesca. Perché, tra i vari motivi forniti dal governo venezuelano per chiudere la frontiera, c’è quello di un afflusso incontrollato di immigrati colombiani in Venezuela – cosa che non è vera – e non lo è statisticamente. Il saldo migratorio, al contrario, è addirittura negativo per quanto riguarda la Colombia. Quindi, questi colombiani che abitano le zone di confine dal lato venezuelano – in alcuni casi ho potuto verificare – si tratta di persone che da 10-20-30 anni avevano ormai costruito famiglie con venezuelani, erano quindi famiglie miste. Di queste persone, quasi un migliaio è stato espulso nel giro di ventiquattro ore. Hanno avuto solo il tempo di raccogliere qualche oggetto e documento, per poi essere deportati dall’altra parte del fiume. Questo modo di controllare, o di tentare di controllare, i flussi migratori in America Latina era sconosciuto. È un tema sul quale il governo colombiano ha aperto un’inchiesta, anche per vedere come sono stati trattati i loro cittadini.

D. – Il governo colombiano ha chiesto anche di convocare una riunione dei ministri degli Esteri dell’Unione dei Paesi sudamericani. Questa crisi può avere ripercussioni regionali?

R. – A questi livelli sì. I colombiani hanno infatti richiesto l’intervento dell’Unasur, la comunità di Paesi latinoamericani che era stata creata tre anni fa. Questo momento di tensione tra due Paesi latinoamericani è quanto di meno ci si poteva aspettare. L’America Latina in questo momento sta in qualche modo festeggiando la fine della Guerra Fredda con l’apertura dell’ambasciata statunitense a Cuba. Non c’era sicuramente bisogno di un nuovo conflitto e, men che meno, di tentare di scaricare dei problemi che sono di politica interna creando tensione con i Paesi vicini.








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