2015-08-24 20:21:00

L’Europa pressata per dare risposta all’emergenza immigrazione. Da Hollande e Merkel risposta deludente


L’Europa non può continuare ad ignorare l’emergenza immigrazione. A farsi avanti nella richiesta di una strategia comune sono, dopo Italia e Grecia, anche Macedonia, Albania e Bulgaria. Il presidente francese Hollande ne ha parlato oggi a Berlino con la cancelleria tedesca Merkel, a margine del vertice sull’Ucraina. Se la politica arranca nel dare risposte, continuano gli sbarchi dal mare e prosegue il viaggio dei profughi sulla rotta balcanica, dopo l’aperura delle frontiere della Macedonia. Il servizio di Roberta Gisotti

Aprire al più presto, entro quest’anno - chiede la Merkel - centri di registrazione dei migranti in Italia e Grecia, “Paesi particolarmente colpiti dai primi arrivi”, e qui decidere - aggiunge Hollande -chi ha diritto e chi no ad essere accolto. Da Berlino tutto qui. Davvero poco per risolvere un’emergenza immigrazione, che pure Hollande definisce “straordinaria”. Tanto che a scendere in campo sono stati oggi anche i ministri degli Esteri di Macedonia, Albania e Bulgaria. Riuniti a Skopje hanno sollecitato: “serve una risposta comune a livello europeo”. E forse non solo europeo se Mosca ha annunciato di voler aiutare l’Europa per arrivare ad una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. E non si ferma il flusso degli immigrati in mare. 963 sono sbarcati oggi a Cagliari, altri 548 a Palermo, 453 a Taranto e 466 sono stati salvati stamane dalla Guardia Costiera italiana, a poche decine di miglia dalla costa libica, mentre altri 2500 siriani sono ancora attesi in Grecia, nel porto ateniese del Pireo. Apprezzamento speciale alla Serbia è giunto dall’Unione europea per l’organizzazione mostrata nell’accogliere la gran quantità di migranti, oltre 23 mila nelle ultime due settimane. Ma a cosa si deve questa impennata sulla rotta dei Balcani? Risponde Francesco Martino, corrispondente da Sofia dell’Osservatorio sui Balcani e il Caucaso, al microfono di Marco Guerra

R. – Premetto che da parte delle autorità macedoni non c’è stata molta chiarezza sulle dinamiche che hanno portato alla decisione prima di chiudere il confine e poi di riaprirlo. Diciamo che in generale l’afflusso di richiedenti asilo e rifugiati in Macedonia in realtà va molto più indietro nel tempo. In queste settimane, però, c’è stato un aumento considerevole dei numeri. La reazione probabilmente delle autorità macedoni è stata quella di provare a chiudere il confine, per provare a spostare il problema da qualche altra parte. Ricordiamo che nei Balcani questa strategia è stata presa già da vari Paesi tra cui la Bulgaria, la Grecia e più recentemente, a nord, l’Ungheria, che hanno deciso ad esempio di costruire delle vere e proprie barriere fisiche, tentando di spostare il flusso che difficilmente può essere fermato. In qualche modo, c’è una dinamica ambivalente, in qualche modo le due strategie si alternano: prima tentando di fermare, poi quando la cosa si rivela difficile o impossibile, provando a spostare il problema più in là, in una sorta di “scaricabarile”. Anche perché ricordiamo che l’obiettivo finale della stragrande maggioranza dei richiedenti asilo è di raggiungere il cuore dell’Unione Europea, soprattutto Paesi come Germania, Svezia e Austria.

D. – Il governo macedone e quello serbo hanno detto di aspettarsi nuovi aiuti da parte dell’Ue e a Belgrado sono stati istituiti punti di assistenza. Ma è veramente un’emergenza senza precedenti nei Balcani questo flusso di migranti?

R. – Nei Balcani, il fenomeno di questo tipo di migrazione ormai ha qualche anno. Ricordiamo appunto che nel 2013 la Bulgaria si è trovata di fronte a una situazione simile. Io direi, allargando un attimo lo sguardo, che la situazione senza precedenti è l’emergenza rifugiati in Siria. Gli ultimi numeri parlano di più di quattro milioni di persone che hanno dovuto lasciare le proprie case. Quindi, direi che quello che succede oggi nei Balcani sia il riflesso di una tragedia immane, che si svolge a poca distanza dall’Europa e che quindi si riverbera inevitabilmente sul nostro continente. Ultimamente, la rotta balcanica viene utilizzata in modo massiccio, questo perché è sempre più massiccio il numero di persone che è costretto a tentare la fuga per salvare la propria vita. Inserirei questa situazione, sicuramente senza precedenti nei Balcani, in una situazione probabilmente senza precedenti nella storia recente per quanto riguarda una crisi di rifugiati, almeno così vicino all’Europa.

D. – Come è composto questo flusso e perché c’è stata questa impennata?

R. – Fondamentalmente, numeri alla mano l’impennata è dovuta al numero enorme di siriani che fuggono dal proprio Paese. All’immigrazione siriana forzata, si aggiunge quella che proviene dai Paesi che sono, per così dire, tradizionalmente esportatori di rifugiati e richiedenti asilo. Parliamo soprattutto dell’Afghanistan e dell’Iraq. Ultimamente, la via balcanica è stata e viene utilizzata in modo crescente anche da persone che fuggono da conflitti, ad esempio, in Africa, e che appunto cercano un’alternativa a quella che è la strada – chiamiamola tradizionale – che è l’attraversamento del Mediterraneo via nave. Quindi, c’è anche questa componente che va ad aggiungersi al flusso.

 








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