2015-08-22 13:50:00

Preoccupa la "crisi" cinese: borse internazionali nel panico


Crisi cinese e listini del Giappone, degli Stati Uniti e dell’Ue in rosso: la crisi cinese continua a preoccupare. Negli Stati Uniti si parla di "panic selling", le vendite incontrollate che segnano una brusca inversione di tendenza dei listini, ovviamente al ribasso. A spiegare la fase di contrazione, con le azioni globali che hanno perso oltre 2.000 miliardi di dollari in pochi giorni, c'è il rallentamento dell'economia cinese, accompagnato dallo scoppio della bolla azionaria e le improvvise svalutazioni dello yuan. Per capire le dinamiche in atto e le possibili implicazioni mondiali, Fausta Speranza ha intervistato Carlo Altomonte, docente di politiche economiche alla Bocconi:

R. – Da un lato, bisogna considerare il rallentamento dell’economia cinese, che evidentemente incide sulle prospettive di crescita dell’economia, e sulla capacità quindi di esportare da parte delle economie occidentali. Poi, la politica monetaria americana: il fatto cioè che i tassi americani potrebbero risalire. E infine, la crisi che ciò comporterebbe sulle valute delle economie emergenti.

D. – Per capire come siamo arrivati a questo punto, è giusto riandare con la memoria alla crisi, al crack Lehman Brothers, come fanno alcuni?

R. – Mi sembra un’associazione un po’ troppo azzardata… Nel senso che la parte che riguarda la politica monetaria americana – e quindi il fatto che i tassi americani, che erano scesi con il crack di Lehman Brothers, per la prima volta dal 2008 inizieranno a risalire – sicuramente ha un impatto. Ma questo è l’unico legame che vedo,oltre al fatto che stiamo ancora capendo come gestire l’eredità di quel crack in Occidente. È altrettanto vero che poi questa salita dei tassi Usa potrebbe portare a un rafforzamento del dollaro, e a un problema di indebitamento delle economie emergenti. Però la dinamica cinese, di cui parlavamo prima, è del tutto autonoma.

D. – La crescita dell’economia cinese rallentata e i crolli di borsa sono legati evidentemente, ma sono anche due fenomeni che vanno paralleli?

R. – Che l’economia cinese debba rallentare è nei fatti – lo sapevamo tutti e avevamo già rivisto la crescita cinese, dall’8% o oltre degli anni scorsi a circa il 7% in questi anni, per poi arrivare nei prossimi anni a stime intorno al 6-5%. Proprio perché l’economia cinese sta perdendo sempre di più le caratteristiche di economia emergente e sta diventando una economia avanzata, quindi supportata dalla crescita dei consumi interni e quindi da tassi di crescita non sostenibili ai livelli del 7-8%. Questo evidentemente ha un impatto sulle economie occidentali, in quanto gran parte di queste ha avuto un crollo dei consumi con la crisi e una dinamica degli investimenti molto fiacca, e sono state tirate su sostanzialmente grazie alle esportazioni verso la Cina che cresceva. E ciò ha evidentemente un impatto sugli utili delle aziende occidentali e quindi sulle Borse. Però non drammatizzerei, nel senso che una Cina che cresce meno, potenzialmente, se nel breve periodo rappresenta un fattore di destabilizzazione, nel lungo periodo diventa invece un fattore di stabilità. La crescita vuol dire che centinaia di milioni di persone iniziano a consumare su livelli che prima non avevano. Se questo accade in modo più graduale, e dunque opportunatamente gestito, diventa un fattore potenziale di stabilità nei prossimi anni per la crescita globale.

D. – E invece la crisi delle Borse? Come nasce in questo momento? Non è solo il prodotto del rallentamento della crescita, ha anche altre dinamiche...

R. – In parte la dinamica cinese, da un lato, e la svalutazione, sia pure marginale fino a questo momento, della valuta, fa rallentare le prospettive di export delle aziende occidentali, comprimendone quindi gli utili. C’è poi un dato di crescita interna che preoccupa in Europa, e anch’esso ha depresso le borse. E infine si aggiunge la possibilità che salgano i tassi americani e che questa salita possa comprimere, almeno nel breve periodo, anche la crescita degli Stati Uniti. Vediamo di conseguenza tre aree del mondo – Cina, Europa e Stati Uniti – che, seppure per ragioni e dinamiche diverse, in questa fase stanno dando segnali di crescita potenzialmente inferiori alla media e questo evidentemente fa sì che le Borse ritraccino, però dopo un anno – perché fino adesso è andata molto bene. Quindi c’è anche l’idea che molti stanno chiudendo le posizioni per portarsi a casa gli utili guadagnati da gennaio fino ad oggi.








All the contents on this site are copyrighted ©.