La sezione "Open Doors" del Festival del Film di Locarno è dedicata quest'anno a quattro paesi del Maghreb: Algeria, Libia, Marocco e Tunisia. Una regione tormentata da tensioni sociali, guerre e terrorismo, che viene coraggiosamente raccontata attraverso il cinema di giovanissimi registi. Dal nostro inviato a Locarno, Luca Pellegrini:
Porte aperte, a Locarno, al cinema del Maghreb. Arrivano alcuni registi dalla Libia, due coraggiose cineaste dall'Algeria e dal Marocco, tutti pieni di coraggio e di energia per difendere la cultura e il futuro dei loro Paesi. Sono zone difficili, soprattutto la Libia, dove non si penserebbe mai fosse possibile oggi per dei ragazzi imbracciare una cinepresa, anziché un fucile, e girare un film. Lo confessa ai nostri microfoni Kelly Ali, che ha presentato in "Land of Men" un intenso ritratto di una ragazza libica appassionata di cinema:
“Everyone has a piece of gun…
Tutti hanno un’arma, è come avere un cellulare: hai
il tuo cellulare e la tua arma ed esci. Il problema è che non siamo sconvolti quando
vediamo un’arma, diventa normale. Non è perché a tutti piaccia uccidere. Alcune persone,
infatti, portano queste armi e forzano gli altri ad averle. Se non credi nelle armi,
come me, è bene che tu abbia un buon angelo custode, che io credo di avere”.
Ci sono testimonianze importanti nei film di questi ragazzi libici. La cui storia inizia grazie allo "Scottish Documentary Institute", da sempre interessato alla formazione cinematografica nei Paesi che versano in particolari situazioni di difficoltà. Noé Mendelle, la direttrice, ha deciso di lavorare in Libia prima della rivoluzione. Questo il suo ricordo.
R. – For me it was a very positive…
Per me è stata un’esperienza molto positiva, anche
se impegnativa, dovendomi adattare costantemente alla situazione libica, passando
davvero dalla rivoluzione alla guerra civile. Ma positiva, perché ho potuto contribuire
allo sviluppo dei suoi registi, cercando di portare la voce della Libia fuori del
Paese a livello internazionale. Quindi, questo è molto positivo.
D. – Sicuramente, un'esperienza importante per lei e l'Istituto…
R. – I’m extremely proud…
Sono estremamente fiera, penso, non solo perché le
condizioni di questi ragazzi erano molto difficili nell’esprimere quello che li muoveva,
ma perché sono andati oltre ogni aspettativa. E la prova di questo è che i film sono
stati proiettati in grandi Festival come Locarno. E’ fantastico per loro, è fantastico
per la Libia e splendido per noi”.
Le recenti notizie dalla Libia non sono confortanti. I registi però, non demordono e sperano nella rinascita del loro Paese. Ancora Kelly Ali.
“Personally I believe that…
Personalmente, credo che in ogni nazione, nel corso
della storia, dopo una grande rivoluzione o molte rivoluzioni, ci sia un periodo di
caos, che ci si aspetta. Quindi, spero non sia un altro esempio storico che si ripete.
Inciamperemo, dunque, anche perché non sappiamo cosa siano davvero la libertà e la
democrazia, essendo stati dominati così a lungo. Se tutto va bene, però, impareremo,
cambieremo e ci svilupperemo, raggiungendole”.
Mentre Muhannad Lamin, regista di "80" - due giorni di un uomo in carcere e la sua fuga - confessa:
“I think many people are…
Penso che molte persone stiano solo aspettando di
vedere un cambiamento. Il conflitto si è fatto molto complicato e molti usano i giovani
e li coinvolgono in queste trame politiche. C’è un condizionamento da parte dei Paesi
vicini. E’ molto complicato. Penso, comunque, che le persone si attendano di vedere
qualcosa alla lunga, per sperare”.
Lo sguardo riassuntivo è quello di Giuseppe Gariazzo, consulente di "Open Doors", che ha scelto molti dei film selezionati. Che cosa ha scoperto?
“Ho avvertito intanto la necessità – pensiamo ai registi libici, ma non solo, di fronte a delle difficoltà nei loro Paesi – la necessità di resistere, facendo dei film. Ci sono degli autori, delle autrici, che magari vivono in Francia o si spostano tra il Paese di origine e la Francia, che - da una parte - hanno la necessità nei loro film di parlarsi e di parlare del proprio Paese in modo molto intimo, molto personale e – dall’altra – di raccontare appunto la storia sia con la S maiuscola, quindi del passato, sia la cronaca del presente. Credo che questa necessità sia quella che ha spinto i film negli ultimi anni – perché quelli presentati vanno dal 2009 fino al 2015. Tutti hanno appunto questa voglia di resistere e di fare dei gesti di resistenza, attraverso, in questo caso, il cinema”.
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