2015-08-10 13:22:00

Festival Locarno, "Bella e perduta" film tra fiaba e documentario


Presentato ieri "Bella e perduta", film italiano in concorso al Festival di Locarno, in cui il regista Pietro Marcello racconta, combinandoli in modo personalissimo, l'amore per la natura e gli animali e la lo stato di abbandono in cui versa la Reggia di Carditello, divenuta simbolo dell'Italia di oggi. Dal nostro inviato a Locarno, Luca Pellegrini:

Tra fiaba e documentario, realtà e finzione, "Bella e perduta" è la storia minuta di piccoli eroi e silenziosi animali, calata nella drammatica testimonianza di un'arte abbandonata, una natura offesa e un'Italia dopotutto coraggiosa, anche se calpestata nelle sue antiche bellezze e nella sua coesione sociale. Pietro Marcello è un regista visionario. Il suo film doveva essere una cosa, poi ne è diventata altra. Voleva raccontare la sua terra, la Campania e il casertano, espandendo il suo viaggio a tutta la Penisola. Punto di partenza: l'abbandonata, devastata e splendida reggia borbonica di Carditello, in provincia di Caserta, stretta d'assedio da discariche, assurdi progetti di cemento e la camorra. Tommaso Cestrone ne è stato l'indomito guardiano-pastore fino alla sua improvvisa morte, avvenuta nel 2013. Il film ha intercettato questa scomparsa e si è da lì trasformato anche in una fiaba, quella di Pulcinella che da immortale diventa uomo e del bufalo Sarchiapone, testimoni entrambi di una perduta bellezza. Pietro Marcello spiega, innanzitutto, perché ha scelto un animale come il bufalo:

R. - Io sono cresciuto in quelle terre. Per me è stato anche un modo di avvicinarmi a quelle terre, abitate da questi bufali. Gli animali erano amici degli uomini. Oggi gli animali sono degli oggetti. In un certo senso c’era più rispetto per l’animale in passato, perché una vacca in famiglia aveva un valore enorme: l’uomo si prendeva cura dell’animale, perché l'animale era di aiuto nei campi, nel lavoro. Oggi sono semplicemente numeri e per me è una questione ben precisa quella di dare dignità a questi animali.

D. - Il bufalo nel film parla a Pulcinella, unico che riesce a capirlo fino a quando indossa la maschera. Poi decide di liberarsene. Perché?

R. - Nel film Pulcinella si libera di questa maschera e anche di questa immortalità che lo rende servo. È così che sceglie il libero arbitrio. Siamo sempre soggetti al destino e al libero arbitrio di poter scegliere qualcosa per la nostra vita; però poi è il destino che ci segna la strada. Nel caso di Pulcinella è per diventare un uomo nuovo, un uomo diverso, un uomo consapevole, che può amare la natura e gli animali.

D. - Lei è riuscito a trasformare quello che doveva essere un documentario in una fiaba.

R. -  Saper trasformare questa storia è stata una necessità. E il documentario ti insegna questo, riuscire ad affrontare anche gli imprevisti. Noi abbiamo sentito un po' una sorta di responsabilità morale di continuare questa storia perché il film nasceva come un viaggio in Italia sulle tracce di Piovene, anche per raccontare la temperatura del Paese. Poi si è ancorato alla storia di Tommaso perché il film si è arrestato lì a Carditello. E il bufalo è rimasto solo.

D. - E Pulcinella diventato uomo che cosa simboleggia?

R. - Nel caso di Pulcinella .... Pulcinella è l’uomo nuovo. Era importante per noi lasciare un segno. Diciamo che l’uomo nuovo è il seme, la speranza; è l’uomo consapevole, che può cambiare le sorti di quella terra. La Reggia di Carditello,in realtà è oggettivamente stata acquistata dall’ex-ministro dei beni culturali Massimo Bray. In quel caso è stato coraggioso, perché comunque è stato l’unico che si è interessato realmente della Reggia di Carditello che ha versato in uno stato di abbandono, che ha rappresentato anche la malasorte di quella terra per secoli.

Lo sceneggiatore Maurizio Braucci dice che il film parla anche di mistero:

R. - E' anche un film sul mistero in qualche modo, che cerca di raccontare che a volte la vita è talmente più grande ed immensa di noi che nell’accettazione di questo mistero c’è anche un gesto di adesione completa all’esistenza stessa. Sulla maschera devo dire che per me rappresenta anche un po’ l’Italia, questa bella e perduta nazione, in questo momento almeno. Io sono un po’ stanco di sentire all’estero rappresentare l’Italia da maschere come quelle di certi politici, di certi personaggi … Italia che poi è fatta di personaggi straordinari oggi e nel passato, come Carlo Levi che ha ispirato Pietro questo percorso, come Pasolini, come Sciascia, come Anna Maria Ortese, interpretata da Elsa Morante. Quindi vorrei che questa Italia fosse rappresentata da uomini che non indossano più una maschera, ma uomini di azione, di fede e di preghiera anche. Uomini di spirito.

D. - Per lei un'Italia bella e irrimediabilmente perduta?

R. - L'Italia bella e perduta è la condizione forse di partenza attuale, che però ci dà la forza per quella disperata creatività che è alla base anche di tanta arte che nasce da territori che sono sofferenti e martoriati: parliamo del Sud, della Campania. Quindi c’è una forza che a volte è data anche dalla drammaticità delle azioni. Quindi non è un film che racconta che l’Italia è destinata ad essere bella e perduta; è un film che racconta di un’Italia bella e perduta che però ha in sé le risorse per trasformare tutto questo.








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