2015-08-09 14:30:00

Haiti al voto tra ricostruzione e speranza per il futuro


Questa domenica si vota ad Haiti per rinnovare il parlamento e due terzi del Senato. Le elezioni arrivano dopo un periodo di contestazione per il presidente Michel Martelly, accusato di aver ritardato le votazioni per favorire il suo governo. Il Paese caraibico, devastato cinque anni fa da un terremoto che ha coinvolto 3 milioni di persone, è ancora in ricostruzione ma non mancano i segnali positivi. Michele Raviart ne ha parlato con Maria Chiara Roti, vicepresidente della Fondazione Francesca Rava che si occupa in prima linea degli aiuti ad Haiti, dove gestisce scuole, ospedali e programmi di formazione:

R. – Vediamo molto fermento: effettivamente queste elezioni si sentono nelle strade, si sentono tra la gente. Haiti è stato il primo Paese dell’area dei Caraibi ad avere l'indipendenza: è un Paese in cui la gente è nelle strade, è reattiva, è piena di vita, piena di energia e dice quello che pensa. In questi giorni la situazione è tranquilla, ma le elezioni si percepiscono perché ci sono tantissimi volantini in tutta la città e la popolazione fa una campagna elettorale per i propri deputati per le strade. Vediamo tantissime motociclette e i giovani haitiani che indossano una t-shirt con il numero del proprio candidato o con la foto e girano per la città. Ci sono tanti comizi: da noi sono più in televisione o nei media, ma qui si vivono proprio nelle strade.

D. – Le elezioni sono parlamentari: quali sono gli schieramenti in campo e che cosa propongono per il futuro di Haiti che è un Paese ancora in ricostruzione?

R. – Non ci sono, come da noi, un bipolarismo o dei partiti politici – Destra e Sinistra – ma tutti propongono alle persone le stesse speranze, gli stessi diritti, ma anche per il proprio interesse. In questo momento per le presidenziali ci sono 50 candidati.

D. – A livello umanitario, invece, qual è la situazione dopo cinque anni dal terremoto?

R. – Girando per le strade della capitale - sicuramente - dopo cinque anni dal terremoto non ho visto, come nei primi mesi e nei primi due o tre anni, le tendopoli. In questo momento, le persone vivono nelle loro case - sono a volte case di cemento, c’è una forte ricostruzione di piccole case di cemento - oppure ancora nelle baracche. Quello che manca ad Haiti, quello che manca da molti, troppi anni, è l’acqua, l’accesso alle cose di base: oltre l'acqua, cibo e poi scuola e sanità. Quindi è ancora un Paese molto sofferente.

D. – Ci sono invece dei segnali positivi?

R. – Qualcosa sta cambiando: nella popolazione c’è un forte desiderio di rinascita, di rivincita. Vedo tante compagnie telefoniche, anche internazionali, che si stanno installando qui: comunicazione, accesso ai telefoni e a internet vuol dire sviluppo. Vedo tanti hotel in costruzione. Se il futuro di questo Paese può ricominciare, ciò può avvenire dal turismo: vedo un grande fermento in questo settore, una grande voglia di accogliere!

D. – Uno dei problemi è quello dei tentativi che ci sono di emigrare da Haiti per raggiungere la vicina Repubblica Dominicana…

R. – Il problema è ancora più aspro: di una migrazione da Haiti verso la Repubblica Dominicana. Le frontiere sono sempre più serrate, con sempre maggiori controlli. Quindi la Repubblica non è in grado, non vuole o non può accogliere nuovi migranti haitiani: sono decine di migliaia di persone, perché si tratta di una migrazione degli ultimi 20-30 anni. Ma quello che è drammatico è che i migranti haitiani che hanno passato la frontiera negli anni passati, e che lavorano in Repubblica Dominicana, nei campi di canna da zucchero, non hanno una identità: vengono chiamati in Repubblica “palomas blancas”, non hanno un nome, vivono nei “Bateyes”, che sono dei piccoli villaggi di legno intorno alle coltivazioni. Ecco, il governo della Repubblica Dominicana sta facendo una campagna, una politica di rimpatrio di questi haitiani che da tempo vivono in Repubblica Dominicana, verso il loro Paese. Quindi c’è anche un flusso in senso contrario. In questo senso c’è una situazione molto tesa tra i due Paesi.








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