2015-08-07 07:30:00

Barcone affondato: bilancio ancora incerto, almeno 25 le vittime


Sono sbarcati a Palermo i 373 superstiti del naufragio avvenuto mercoledì scorso al largo delle coste libiche. Finora sono stati recuperati 25 corpi ma si teme che il bilancio delle vittime possa aggravarsi. Intanto, sono quasi 1.200 i migranti soccorsi ieri al largo della Libia. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

ll barcone è affondato poco dopo le operazioni di soccorso condotte dalla Guardia costiera italiana, che si è spinta fino a 30 miglia dalle coste libiche. L’intervento ha permesso di trarre in salvo quasi 400 persone provenienti da Siria, Bangladesh e dalla regione sub sahariana. Subito dopo le operazioni di salvataggio sono stati arrestati 5 presunti scafisti. Il bilancio resta incerto: sono stati recuperati 25 cadaveri ma gli immigrati – come raccontano alcuni testimoni – erano più di 600 a bordo dell'imbarcazione che si è capovolta all'arrivo dei primi soccorritori. I migranti, molto probabilmente, prima di mettersi in salvo, si sono spostati su un lato del barcone provocandone il rovesciamento. I sopravvissuti hanno anche raccontato che molte persone erano nella stiva. Per loro non c’è stato scampo. E’ l’ennesima tragedia nel Mediterraneo attraversato secondo l’Onu, dallo scorso mese di gennaio, da 224 mila migranti. Le vittime sono almeno 2100.

Sul luogo scene di orrore e disperazione racconta Juan Matías Gil, coordinatore della nave di ricerca e soccorso di Medici Senza Frontiere Dignity I, intervenuta quasi subito. L'intervista è di Paolo Ondarza:

R. – Quando siamo arrivati, noi non siamo stati i primi: la nave militare irlandese e la nave italiana erano già in posizione e coordinavano le operazioni. Abbiamo prima di tutto distribuito un salvagente a tutte le persone che erano ancora in acqua.

D. – Quanta gente c’era in acqua?

R. – Quando siamo arrivati non tante, perché era passata già qualche ora… C’era qualche decina di persone.

D. – In quale stato avete trovato queste persone?

R. – Erano veramente disperate! Appena ci vedevano, gridavano e ci chiamavano… Ci dicevano che c’erano ancora persone un po’ più lontano. Ci davano consigli, istruzioni, direzioni… Ma veramente scioccati!

D. – Molti gli uomini, ma anche donne e bambini?

R. – La maggior parte erano adulti uomini, ma c’erano anche abbastanza bambini. E’ difficile precisare quanti fossero…

D. – Prevalentemente di nazionalità africana?

R. – Quelli che noi abbiamo recuperato erano maggiormente arabi. Ma queste barche normalmente hanno due piani: gli africani vanno sotto, perché si paga di meno e quando dico africani intendo sub-sahariani; gli arabi normalmente pagano di più e quindi sono sul piano superiore. Sicuramente dentro la barca sono rimasti tanti, tanti africani sub-sahariani.

D. – Prevalentemente gli africani chiusi nella stiva?

R. – Non è una scelta, è una questione di soldi! Hanno quei soldi e pagano quello che possono…

D. – In mezzo a questa tragedia avete soccorso una bambina di un anno…

R. – Di meno di un anno. Una piccola bambina che era caduta in acqua e stava andando sotto l’acqua: il papà l’ha vista e ce l’ha indicata… Tutti e tre, padre, madre e bimba, stanno bene: la donna aveva però bisogno subito di un’attenzione medica e quindi la abbiamo subito portata sulla nostra barca e dopo la sua stabilizzazione è partita in elicottero verso l’Italia.

D. – Quante sono le persone che avete messo a bordo per il trasporto verso Palermo?

R. – Tutte le persone che abbiamo portato sulla nostra barca sono state trasferite nella nave irlandese. Quindi la cifra ufficiale possono darla loro.

D. – Ricordiamo che il vostro è un intervento di natura – potremmo dire – “privata”, rispetto a quello costituito dal dispositivo europeo “Triton”…

R. – Effettivamente, effettivamente. La nostra è una operazione indipendente. Dopo la tragedia di aprile, con questa crisi umanitaria alle porte di Europa, non potevamo certo fare finta che non accadesse niente! Quindi abbiamo deciso di intervenire: siamo fuori – e questo deve essere veramente molto chiaro! – da tutta l’operazione ufficiale europea.

D. – Quale valutazione si sente di fare rispetto a quanto sta accadendo nel Mediterraneo?

R. – Evidentemente se noi siamo qui vuol dire che tutte le risorse che hanno messo per questa operazione “Triton” non sono bastate per coprire i bisogni! E non soltanto riguardo alla quantità, ma anche riguardo alla capacità dell’azione, alla capacità dell’esperienza del salvataggio e alla capacità medica sulle barche: quelle di Triton sono tutte barche militari e fanno quello che possono… Ma questo non basta! Non è abbastanza, purtroppo!

D. – Secondo lei, che cosa dovrebbe essere fatto concretamente?

R. – Sicuramente aumentare le risorse, le risorse per i salvataggi e non secondo una prospettiva militare, ma umanitaria. Non solo controllare i confini, le frontiere, ma cercare di comprendere quale sia il problema e perché tutte queste persone sono a rischio, perché arrivano a prendere la decisione di attraversare il mare con tutto il rischio che questo comporta… Dobbiamo fare un’analisi veramente molto ampia e prendere delle misure concrete, orientando questa operazione non da un punto di vista militare, ma umanitario!








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