2015-08-06 13:37:00

Tragedia del mare. Msf: Triton insufficiente, serve soccorso


Sono ancora in corso le ricerche al largo della Libia dove ieri si è capovolto un barcone con a bordo centinaia di migranti. Il bilancio, ancora provvisorio,  è di 373 migranti salvati e 25 cadaveri recuperati. Sul barcone c'erano circa 600 persone. Intanto oggi un altro barcone con oltre 300 migranti è stato soccorso a poca distanza dalla zona del naufragio. Paolo Ondarza:

Arriveranno questo pomeriggio nel porto di Palermo i migranti sopravvissuti al naufragio avvenuto ieri a 22 miglia nautiche a largo di Zuwara, il porto della Libia da cui salpano centinaia di imbarcazioni della morte. Con loro giungeranno in Italia anche le 25 salme recuperate in acqua. Si teme che in fondo al mare vi siano altre centinaia di corpi. A capovolgere il barcone di legno al sopraggiungere dei soccorsi l’agitazione dei migranti che in mattinata avevano lanciato l’Sos tramite telefono satellitare, raccolto dalla Capitaneria di Catania. Sul luogo scene di orrore e disperazione racconta Juan Matías Gil, coordinatore della nave di ricerca e soccorso di Medici Senza Frontiere Dignity I, intervenuta quasi subito:  

R. – Quando siamo arrivati, noi non siamo stati i primi: la nave militare irlandese e la nave italiana erano già in posizione e coordinavano le operazioni. Abbiamo prima di tutto distribuito un salvagente a tutte le persone che erano ancora in acqua.

D. – Quanta gente c’era in acqua?

R. – Quando siamo arrivati non tante, perché era passata già qualche ora… C’era qualche decina di persone.

D. – In quale stato avete trovato queste persone?

R. – Erano veramente disperate! Appena ci vedevano, gridavano e ci chiamavano… Ci dicevano che c’erano ancora persone un po’ più lontano. Ci davano consigli, istruzioni, direzioni… Ma veramente scioccati!

D. – Molti gli uomini, ma anche donne e bambini?

R. – La maggior parte erano adulti uomini, ma c’erano anche abbastanza bambini. E’ difficile precisare quanti fossero…

D. – Prevalentemente di nazionalità africana?

R. – Quelli che noi abbiamo recuperato erano maggiormente arabi. Ma queste barche normalmente hanno due piani: gli africani vanno sotto, perché si paga di meno e quando dico africani intendo sub-sahariani; gli arabi normalmente pagano di più e quindi sono sul piano superiore. Sicuramente dentro la barca sono rimasti tanti, tanti africani sub-sahariani.

D. – Prevalentemente gli africani chiusi nella stiva?

R. – Non è una scelta, è una questione di soldi! Hanno quei soldi e pagano quello che possono…

D. – In mezzo a questa tragedia avete soccorso una bambina di un anno…

R. – Di meno di un anno. Una piccola bambina che era caduta in acqua e stava andando sotto l’acqua: il papà l’ha vista e ce l’ha indicata… Tutti e tre, padre, madre e bimba, stanno bene: la donna aveva però bisogno subito di un’attenzione medica e quindi la abbiamo subito portata sulla nostra barca e dopo la sua stabilizzazione è partita in elicottero verso l’Italia.

D. – Quante sono le persone che avete messo a bordo per il trasporto verso Palermo?

R. – Tutte le persone che abbiamo portato sulla nostra barca sono state trasferite nella nave irlandese. Quindi la cifra ufficiale possono darla loro.

D. – Ricordiamo che il vostro è un intervento di natura – potremmo dire – “privata”, rispetto a quello costituito dal dispositivo europeo “Triton”…

R. – Effettivamente, effettivamente. La nostra è una operazione indipendente. Dopo la tragedia di aprile, con questa crisi umanitaria alle porte di Europa,  non potevamo certo fare finta che non accadesse niente! Quindi abbiamo deciso di intervenire: siamo fuori – e questo deve essere veramente molto chiaro! – da tutta l’operazione ufficiale europea.

D. – Quale valutazione si sente di fare rispetto a quanto sta accadendo nel Mediterraneo?

R. – Evidentemente se noi siamo qui vuol dire che tutte le risorse che hanno messo per questa operazione “Triton” non sono bastate per coprire i bisogni! E non soltanto riguardo alla quantità, ma anche riguardo alla capacità dell’azione, alla capacità dell’esperienza del salvataggio e alla capacità medica sulle barche: quelle di Triton sono tutte barche militari e fanno quello che possono… Ma questo non basta! Non è abbastanza, purtroppo!

D. – Secondo lei, che cosa dovrebbe essere fatto concretamente?

R. – Sicuramente aumentare le risorse, le risorse per i salvataggi e non secondo una prospettiva militare, ma umanitaria. Non solo controllare i confini, le frontiere, ma cercare di comprendere quale sia il problema e perché tutte queste persone sono a rischio, perché arrivano a prendere la decisione di attraversare il mare con tutto il rischio che questo comporta… Dobbiamo fare un’analisi veramente molto ampia e prendere delle misure concrete, orientando questa operazione non da un punto di vista militare, ma umanitario!

Oltre 2mila i morti nel Mediterraneo dall’inizio del 2015: l’incidente più pesante resta quello dello scorso 18 aprile in cui a perdere la vita furono in 700.








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