2015-08-05 13:38:00

Yemen, continua l'avanzata delle forze filo-governative


Nuove offensive delle forze della cosiddetta Resistenza Popolare, appoggiata dai sauditi, hanno respinto le milizie Houthi nel sud dello Yemen. Dopo la riconquista della città portuale di Aden, è stata la volta nei giorni scorsi della base militare di al-Anad, la più importante del Paese. Nel frattempo le Nazioni Unite hanno fatto sapere che sono circa duemila i civili rimasti uccisi nel conflitto da quando, lo scorso 19 marzo, una coalizione di sei Stati promossa dall'Arabia Saudita ha iniziato una campagna di bombardamenti aerei contro le postazioni degli Houthi. Oltre 100 mila yemeniti hanno lasciato il Paese, dove secondo Medici senza Frontiere il sistema sanitario è “ormai vicino al collasso”. Sul terreno continuano intanto gli scontri fra la Resistenza Popolare e le milizie Houthi, messe in difficoltà dall'invio di nuove truppe via terra da parte della coalizione. Un elemento nuovo in un conflitto durissimo, che ha ridotto allo stremo la popolazione yemenita e che, come spiega la giornalista Laura Silvia Battaglia - al microfono di Giacomo Zandonini - non può essere ridotto a una "proxy war" fra Iran e Arabia Saudita:

R. – All’Arabia Saudita è stato dato sfogo, sul terreno di questo Paese confinante, per evitare, minimizzare, possibili attacchi ai suoi confini. C’è poi, certamente, un interesse internazionale: ovviamente dell’Iran, sul Golfo di Aden, per motivi legati al trasporto del gas, in parte per un controllo del Canale di Suez … Ma direi che questa idea della "guerra per procura", è anche troppo amplificata. In genere non si considerano assolutamente i rapporti di forza interni al Paese, i rapporti tra le tribù, che sono molto importanti. E il fatto che questo è un conflitto che pesca nella storia antica dello Yemen. C’è infatti una differenza profonda tra il Sud e il Nord del Paese. Un Sud che ha vissuto il comunismo, ha vissuto la presenza degli inglesi, che ha un movimento separatista molto forte, la “Popular Resistance”, che in questi giorni sta già avanzando e che comunque aveva già chiesto, almeno due anni fa, di potersi separare dal resto del Paese. Lo stesso si può dire per il Nord, cioè i cosiddetti Houthi, i ribelli sciiti che, certo, agiscono probabilmente avendo come modello quello khomeinista, il modello iraniano, e più ancora – direi – il modello di Hezbollah, per quanto riguarda l'azione militare sul territorio. In Yemen, in questo momento, c’è poi un regolamento di conti generale. E’ un regolamento di conti tra l’ex presidente Saleh - che sostiene gli Houthi e che, ricordiamo, era stato buttato fuori dal Paese con la cosiddetta Primavera araba del 2011 - e il nuovo presidente Hadi, che rimane ancora in carica ma che comunque si è rivelato come un soggetto politico che ha messo lo Yemen completamente nelle mani dell’Arabia Saudita, sotto il profilo economico del debito l’ha proprio consegnato ai vicini sauditi; e dunque non è per niente amato dalla popolazione, a prescindere dalla presenza dei ribelli. Infine non dobbiamo dimenticare che c’è un grande gioco delle tribù: le tribù del Sud, le tribù del Nord, quelle dell’area di Al-Mukalla, che sono quelle più vicine all’ex al-Qaeda, che oggi si sono  "ribattezzate", mettendo il cappello dell'Is. Si tratta in conclusione di un conflitto decisamente locale che viene potenziato, rifocillato, armato, di cui approfittano anche attori regionale e attori internazionali.

D. – Dunque la spaccatura che alcuni vedono tra sciiti e sunniti non è così evidente, o perlomeno così rilevante: ci sono più divisioni politiche …

R. – La spaccatura tra sunniti e sciiti in Yemen, fino al 2011, in senso religioso non è mai esistita. Gli yemeniti sono sempre andati a pregare insieme nelle moschee, non c’è mai stata una reale divisione: ci sono famiglie miste dove il padre è sciita e la madre è sunnita … L’elemento politico è stato inserito poi, con questa guerra ed è diventato fortissimo con l’attacco dell’Arabia Saudita, per cui siamo arrivati al punto che oggi gli yemeniti veramente non vanno più in moschea insieme, mischiati, perché hanno paura che nel vicino di casa si nasconda il nemico.

D. – Le proteste di piazza che avevano animato il 2011 sembrano lontanissime, oggi. E’ rimasto ancora qualcosa di quelle rivendicazioni sociali e politiche che, in qualche modo, sembrano un po’ dimenticate in gran parte del Medio Oriente?

R. – Le istanze sociali e politiche, in realtà, sono state prese in mano dagli Houthi, esattamente un anno fa, quando c’è stato il colpo di Stato a Sana'a. Gli Houthi sono stati molto furbi, da questo punto di vista. Le stesse persone che erano andate in piazza prima contro Saleh e in favore di un cambiamento del Paese, sono andate in piazza contro Hadi, il nuovo presidente, sempre a favore di un ulteriore cambiamento nel Paese. Le richieste erano le stesse: salari più alti, un governo stabile, abbassare il prezzo del petrolio che è diventato insostenibile, creare una sorta di “welfare” e, soprattutto, avere governanti non molto corrotti. Se, invece, vogliamo parlare di una sorta di “cuore giovanile” della protesta - persone consapevoli che quei mutamenti richiesti durante la Primavera araba sarebbero stati azzerati da questo colpo di Stato - direi che persone di questo genere ce ne sono molte e continuano a muoversi in favore dello Yemen. Ci sono parecchi blogger, ci sono persone che avevano partecipato a queste proteste e che oggi fanno di tutto, soprattutto sul web, per far conoscere questo conflitto che in realtà è sottostimato, certamente dai media.








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