2015-08-02 10:48:00

La storia di Giorgia Benusiglio e il riscatto dall'ecstasy


Uno stop di 120 giorni, 4 mesi a partire da domani, per il ‘Cocoricò’ di Riccione. Lo ha deciso il questore di Rimini, Maurizio Improta. Il provvedimento sul locale è stato adottato a seguito della morte, avvenuta il 19 luglio, di Lamberto Lucaccioni, il sedicenne di Città di Castello ucciso da un’overdose di ecstasy. Proprio in questi giorni si amplia la mobilitazione contro l’uso di questa droga. Ne è testimone Giorgia Benusiglio: mezza pasticca di ecstasy tagliata con il veleno per topi e la sua vita, a 17 anni, è cambiata improvvisamente. Un’epatite fulminante, poi il trapianto di fegato grazie al dono dei genitori di Alessandra, morta in un incidente stradale. Da qui nasce una seconda possibilità e l’impegno a testimoniare la propria storia ai ragazzi di ogni età, nella speranza di distoglierli dalla tentazione di provare. Benedetta Capelli ha intervistato Giorgia:

R. – Nel ’99, ho fatto la cavolata più grande della mia vita, ovvero assumere mezza pastiglia di ecstasy. Nel giro di una settimana mi sono ritrovata con il fegato in necrosi e ho dovuto subire un trapianto, che all’epoca è durato 17 ore.

D. – In una vita apparentemente normale, come quella di una diciassettenne - scuola, amicizie, studio - come si inserisce questo desiderio di andare 'oltre'?

R. – Perché io ho sempre avuto un’estrema curiosità rispetto alle sostanze. Non riuscivo a capire come una persona potesse arrivare a farsi così tanto male ed in nome di che cosa. Quindi ho iniziato a leggere libri, ad informarmi sulle cose. Ho sempre avuto questa estrema curiosità, che era ovviamente inferiore rispetto alla paura che avevo delle sostanze stesse. Nel ’99 vigeva la politica della 'riduzione del danno e del rischio': giravano degli opuscoli in cui sostanzialmente si diceva che, se si voleva assumere l’ecstasy, bisognava prendere mezza pastiglia, bere tanta acqua, prendere la successiva mezza dopo un’ora - un’ora e mezza, bagnarsi frequentemente i polsi, non mischiare con alcool e tante altre indicazioni del caso. Quando io ho letto uno di questi opuscoli, ho pensato, sapendo che la droga fa male: “Ok, è una cosa che non devo fare, la farò una volta soltanto, seguirò tutte le indicazioni del caso e non mi succederà nulla”.

D. – Cosa è cambiato in te? Perché poi hai deciso di testimoniare tra i giovani quello che ti è capitato?

R. – In realtà, ha iniziato mio padre ad andare in giro per le scuole a raccontare quello che ci era successo. Ricordiamo, infatti, che quando avviene un evento critico così importante, non vieni coinvolto solo tu, persona che sta male, ma anche le persone che ti amano, che ti stanno intorno. Questa è una cosa che dico sempre ai ragazzi: “Se non riuscite ad amarvi abbastanza, cercate di farlo per le persone che vi amano e poi imparerete ad amarvi”. La droga colpisce anche le famiglie cosiddette “normali”. A volte possono accadere fatti che possono scatenare situazioni per cui anche il ragazzo cosiddetto “normale” può incorrere in questi rischi.

D. – Come li trovi i ragazzi di oggi: uguali a te oppure cogli dei disagi che sono magari più profondi o semplicemente differenti?

R. – Sono cambiate le cose. In realtà, sono dieci anni che faccio questi incontri e in dieci anni ho visto dei cambiamenti netti. Innanzitutto, l’età si è andata ad abbassare. Ci sono, quindi, ragazzi che fanno uso di sostanze anche già ad undici anni. Viene accettata la cannabis come se fosse una sigaretta. E poi un allarme che ho lanciato da un po’ di tempo a questa parte è la forma di autolesionismo, per cui ci sono tanti ragazzi di 13 - 14 anni che mi contattano sulla mia pagina facebook, “Giorgia Benusiglio prevenzione droghe”, scrivendomi della loro difficoltà a relazionarsi con i propri pari, ad essere accettati, ad essere ascoltati. Spesso e volentieri pensano di non essere ascoltati dai genitori. Tutte queste incapacità nel gestire le emozioni, nel gestire lo stress e così via vengono ributtate poi in un comportamento lesionista, dove arrivano a tagliarsi sulle braccia, sulle gambe per tornare ad avere nuovamente un sollievo che ovviamente è solo apparente e momentaneo. Purtroppo i genitori, spesso e volentieri, non si rendono conto che sentono i propri figli, ma non si soffermano ad ascoltarli veramente. Imparare ad ascoltare, quindi, il proprio figlio è accompagnarlo verso l’età adulta.

D. – Oggi tu Giorgia ti definisci una paziente. Com’è la tua vita e quali sono i tuoi sogni?

R. – Io sono e sarò una paziente a vita. Quando diventi trapiantata, devi prendere dei farmaci immunosoppressori che, da una parte mi fanno rimanere in vita ed evitano che io abbia un rigetto, dall’altra mi abbassano molto le difese immunitarie. Non è un’operazione che in sé finisce lì, ma è qualcosa che ti porterai dietro per sempre. Io, però, sono nata sana e per una mia cavolata non lo sono più! Questo è difficile da accettare e soprattutto quando cresci, ti rendi conto davvero che quella scelta, che al momento sembrava assolutamente banale, ha condizionato tutta l'esistenza: e non solo la mia, ma anche quella dei miei genitori.








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