2015-07-26 14:22:00

Don Pascolini: oratori non vanno in vacanza, esperienza unica


Nessuna vacanza per gli oratori italiani che, proprio durante l’estate, diventano ancora di più luoghi di aggregazione, confronto e incontro per migliaia di ragazzi. Novità degli ultimi anni è la consistente presenza di giovani stranieri, tra di loro cattolici, cristiani di altre confessioni e pure ragazzi di altre religioni. Al microfono di Benedetta Capelli, don Riccardo Pascolini, presidente del Forum degli Oratori Italiani:

R. – L’oratorio italiano vive di tutta quell’energia che è tipica dell’esperienza di una Chiesa che si mette in prossimità e si fa prossima alle nuove generazioni, ai bambini, con il motore del volontariato, che è unico e se non unico perlomeno il più importante a livello nazionale. Ci sono circa 6 mila oratori in Italia e in estate questi oratori vedono la presenza di 2 milioni di bambini, 500 mila volontari… A noi piace parlare di nomi più che di numeri, però chiaramente i numeri sono importanti proprio per renderci conto e per farci rendere conto che è una realtà, che è un polmone importantissimo di tutta la nostra realtà ecclesiale, ma anche sociale.

D. – Oggi come rispondete alle diversità dei giovani, sempre più impegnati in un mondo virtuale più che reale?

R. – “Dallo schermo allo sguardo”, ci dice Papa Francesco: quindi questo è anche un po’ quello che si vive in oratorio, non tralasciando comunque tutta quella che è la comunicazione e i linguaggi dei giovani che passano necessariamente anche per una comunità virtuale, quella appunto dei social network. Ma l’oratorio pone questo sguardo anche come riferimento di prossimità unica e incisiva: quindi l’oratorio diventa per i ragazzi un’occasione di volontariato, una occasione di formazione, un’occasione di crescita, uno strumento di crescita che ci permette e permette loro di fare un’esperienza importante e incisiva, che dà una struttura cristiana e umana per tutta la vita.

D. – Invece per un sacerdote, per un religioso che tipo di esperienza è quella di confrontarsi, ogni giorno, con ragazzi dalla sensibilità diversa?

R. – Per un sacerdote – almeno per quanto riguarda la mia esperienza – è un respiro: è un respiro bello, quotidiano; fatto di intuizione dei nuovi linguaggi; fatto anche di un interesse che deve essere sempre rinnovato e di un interessarci proprio al loro mondo per amare ciò che amano i giovani e anche appassionarci a quello che loro amano per poter in quell’ambito, nei loro ambiti, annunciare la bellezza del Risorto.

D. – Quali sono le più grandi difficoltà, ad esempio nel cercare di affrontare il senso di sfiducia che avvertono i giovani? 

R. – La realtà dell’oratorio ovviamente intercetta tutti i malumori e anche le fatiche esistenziali dei giovani. Un professore di un istituto superiore, qualche tempo fa, mi ha detto: “Don Riccardo, guarda che i giovani non vivono più, ma sopravvivono!”. E questa parola per me è stata una parola che mi ha lasciato un po’ così, mi ha destabilizzato un po’, proprio perché effettivamente vedo spesso negli occhi di questi ragazzi questa sopravvivenza e non una vita piena. Ecco allora che l’oratorio cerca proprio di ridonare - con l’impegno, mettendoli in prima persona, nel coinvolgimento e dando loro anche degli strumenti di sfida nella fede e nella vita – e di invitare alla vita e alla vita piena.

D. – C’è un’esperienza di un oratorio italiano particolarmente emblematica, che raccoglie – secondo lei – le sfide di questo tempo?

R. – Io da poco sono stato a Brembate, in un oratorio multiculturale veramente interessante: tantissime nazionalità, tantissime religioni… In quella realtà ho proprio fatto l’esperienza di una prossimità e di una accoglienza reale. L’oratorio riusciva a parlare diversi linguaggi: entravi in oratorio e c’era il benvenuto in 40 lingue e quindi 40 benvenuti. Lì ho capito proprio che l’oratorio oggi, soprattutto in molte realtà, può essere quel ponte tra la strada e la Chiesa per tutti, davvero per tutti!








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