2015-07-20 15:00:00

Lesotho: la Chiesa denuncia la crisi nel Paese


Resta alta la tensione in Lesotho, dopo la recente uccisione dell’ex Capo di Stato Maggiore, il generale Maaparankoe Mahao. Secondo i suoi familiari, il generale sarebbe stato assassinato da uomini in uniforme militare, alla guida di veicoli dell’esercito. Numerose le proteste contro il governo del premier Pakalitha Mosisili, accusato, in particolare, di violare gravemente i diritti umani. A denunciare la situazione è anche la Commissione Giustizia e pace (Ccjp) della Conferenza episcopale del Paese, in una dichiarazione congiunta con il “Lesotho Law Society and Transformation Resource Centre” (Trc).

Nessuna legge può giustificare la tortura
Nel documento, siglato a fine giugno, si denunciano torture, arresti arbitrari e intimidazioni nei confronti dei familiari dei militari arrestati in relazione al fallito golpe di fine agosto 2014 che ha visto il primo ministro Jacob Thabane fuggire nel vicino Sud Africa. Con la mediazione della Comunità per lo sviluppo dell’Africa australe si è poi arrivati alla riapertura del Parlamento ed a tenere, nel febbraio scorso, le elezioni, vinte da Mosisili. “Lanciamo un appello al governo del Lesotho – si legge nella dichiarazione congiunta – affinché ordini all’esercito di porre fine alle torture sui soldati detenuti ed avvii un’inchiesta per cercare soluzioni a lungo temine alla crisi attuale”. “Non c’è alcuna legge né in Lesotho, né nel resto del mondo – continua il testo – che giustifichi la tortura e le punizioni extra-giudiziarie su sospetti di qualsiasi genere”.

Minacce ad avvocati e giudici, una violazione dello stato di diritto
Inoltre, i firmatari sottolineano che “secondo i referti medici, alcuni dei trattamenti punitivi inflitti ai detenuti possono provocare disabilità permanenti a livello fisico, mentale ed emotivo”, senza parlare dei “traumi sofferti dai figli e dai parenti” delle vittime di tortura. La Ccjp ed il Trc denunciano, poi, gli atti intimidatori, perpetrati da uomini dell’esercito, contro gli avvocati dei soldati detenuti e contro i giudici alla guida dei relativi processi: “Si tratta, chiaramente, di un chiaro disprezzo della legge, un crimine che minaccia lo stato di diritto, la democrazia e la separazione dei poteri all’interno del governo”, scrivono i due organismi.

Formare una Commissione di inchiesta inclusiva
“Ci appelliamo alla magistratura – continuano - affinché non si faccia intimidire e porti avanti i suoi incarichi senza indugi, per proteggere l’inviolabilità della Corte nel Paese”. Quindi, la dichiarazione congiunta avanza alcune richieste: sostenere le famiglie dei soldati detenuti con un servizio di consulenza psicologica; mobilitare, attraverso la Corte Costituzionale, iniziative contro la tortura, e formare una commissione di inchiesta “inclusiva”, comprendente membri del governo, dell’opposizione, della società civile, delle ong e dell’avvocatura.

Necessarie riforme istituzionali per assicurare la stabilità nel Paese 
Tale commissione dovrebbe, con uno specifico mandato, determinare le cause della crisi attuale; individuare le vittime di tortura ed i loro carnefici; stilare un elenco di raccomandazioni per avviare “riforme istituzionali, legali e costituzionali” atte ad “assicurare la stabilità nel Paese ed il rispetto dei principi democratici all’interno delle forze armate”; portare i colpevoli davanti alla Corte. Inoltre, si chiede che questa commissione operi “in sessioni pubbliche” per garantire “l’affidabilità e la trasparenza” del suo lavoro.

Appello per la pace ed il rispetto dei diritti umani
​“Pace, democrazia, rispetto dei diritti umani, una buona governance – concludono i firmatari della dichiarazione – sono gli obiettivi principali” da raggiungere, grazie anche al “lavoro con la società civile, per far progredire il Paese in modo costruttivo”. (A cura di Isabella Piro)








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