2015-07-20 12:26:00

Elezioni in Burundi. Padre Marano: è vigilia di guerra civile


Esplosione a sud di Bujumbura poco prima l’apertura dei seggi in Burundi. Avviato comunque ufficialmente il voto per le elezioni presidenziali che vedono ancora in corsa per un terzo mandato l’attuale capo dello Stato Nkurunziza, nonostante la Costituzione non lo preveda. Quasi 4 milioni di elettori sono chiamati ad esprimersi, ma l’opposizione boicotta il voto. Al microfono di Benedetta Capelli, padre Claudio Marano missionario saveriano da circa 30 anni nel Paese africano:

R. – Nessuno ha voluto mettersi attorno a un tavolo e fare delle discussioni, nessuno! Perché – dobbiamo dirlo molto chiaramente – l’opposizione perché è l’opposizione, il partito che è al governo perché è il partito che è al governo, e così ognuno, nonostante gli inviti di tutti gli Stati vicini, dell’Onu, dell’Unione Africana, degli americani - nonostante tutto questo - c’è stato un gran silenzio. L’Onu aveva mandato il presidente ugandese Museveni come rappresentante dei Paesi vicini per riuscire a fare qualcosa per questo Paese, ma Museveni aveva un difetto molto logico: anche lui vuole ottenere un terzo mandato senza che la Costituzione glielo permetta. Quindi non poteva fare grandi cose. Dopo più di 100 morti, quasi 200.000 persone rifugiate, più di un migliaio di giovani che sono in prigione - dopo tutto questo - domani ci saranno le elezioni…

D. – Elezioni che dunque sono nelle mani di Nkurunziza, perché – appunto – fallite le mediazioni, l’opposizione ha boicottato il voto. I giochi sono fatti?

R. – Esattamente. Non c’è nessuna possibilità di fare cose diverse. Sono delle elezioni per dare un okay ancora una volta a Nkurunziza.

D. – Che bilancio si può fare della vita politica di Nkurunziza?

R. – Nkurunziza non ha una mentalità politica. Nkurunziza ha una mentalità tipica di un’etnia che è al governo e che fa tutto quello che vuole al posto dell’altra etnia che prima era al governo e che ha fatto tutto quello che voleva. In Burundi c’è un difetto generale: quello di arrivare al potere per ottenere tutto quello che c’è! Non è arrivare al potere per riuscire a rendere il Paese migliore. Non c’è niente di nuovo, c’è soltanto la continuazione di quello che è stato fatto finora.

D. – C’è però un Paese che convive con un elevato tasso di malnutrizione e di povertà. Cosa rischia il Burundi nel futuro?

R. – Il Burundi, prima delle elezioni, aveva il 70% di aiuti che venivano dall’estero. Aiuti necessari per riuscire a farlo andare avanti. Oggi rischia moltissimo, rischia di restare senza soldi, rischia una rivoluzione interna, rischia che l’agricoltura scoppi, perché l’agricoltura va avanti da troppo tempo senza alcuna programmazione. Rischia tutto questo. In Burundi poi ci sono i cinesi che costruiscono gli ospedali, le scuole, i cinesi realizzano il palazzo presidenziale… E questo non so fino a dove possa arrivare. Poi ci sono i Paesi stranieri e tutte le grandi organizzazioni che non dovrebbero prendere i soldi indietro, dovrebbero lavorare per un cambiamento di mentalità, di testa. In Burundi i politici cercano soltanto il loro interesse.

D. – Ma non c’è nemmeno una parte della società civile, della popolazione - i giovani, ad esempio, per i quali bisognerebbe investire nell’educazione – che, invece, la pensano in maniera diversa?

R. – Sì, ci sono. Però bisogna vedere quanti sono sullo stesso piano e quanti invece non lo sono. È per quello che io dico che siamo alla vigilia di una guerra civile e non si può dire che oggi sono i Tutsi contro gli Hutu e domani ci sarà la pace. No! Domani saranno dei cattolici contro i musulmani, sarà un partito politico contro un altro, e così via… Qui c’è molto da lavorare sulla formazione, ma c’è molto da lavorare sul mettere insieme la gente perché riesca ad imparare e a vivere in pace. È l’unico lavoro che c’è da fare in Burundi. Il resto serve - certo - per mangiare, per coprirsi, per fare la casa, ma l’unico lavoro che sarebbe veramente urgente fare è quello di mettersi insieme per scoprire come si vive bene in pace.








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